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Il cervello può aiutare a guarire un cuore dopo un infarto?

Mens sana in corpore sano, recitava Giovenale nelle sue Satire. Questa antica massima è oggi parte del nostro linguaggio quotidiano e sottolinea l’importanza dell’attività fisica per la salute e il benessere psicologico.  Ma se per avere una mente sana bisogna avere un corpo sano, è vero anche il contrario: affrontare la vita in maniera positiva migliora l’umore e giova anche alla salute del cuore. 

Cuore e cervello sono costantemente in dialogo e, anche se non riusciamo ancora a comprendere tutte le “parole”, oggi sappiamo che questo complesso scambio di segnali potrebbe essere fondamentale per aiutare un cuore danneggiato a recuperare la sua funzione.  

Una ricerca del Technion – Israel Institute of Technology suggerisce che la stimolazione del cosiddetto circuito della ricompensa migliora le prestazioni cardiache dopo un infarto.

Lo studio, pubblicato su Nature Cardiovascular Research propone un meccanismo molecolare che spiega come l’attivazione di questa particolare area del cervello, legata a piacere, soddisfazione e gratificazione, contribuisca anche alla salute del cuore. 

Lo stress nemico del cuore  

Essere stressati può sicuramente avere ricadute sulla psiche, come ansia, rabbia, nervosismo e depressione. Meno ovvie, ma non meno importanti, sono le conseguenze sul piano fisico: tensione muscolare, mal di testa, diarrea, aumento della pressione e della frequenza cardiaca. Il corpo si prepara ad affrontare un pericolo, una risposta fisiologica che ha l’obiettivo di proteggere noi stessi e il nostro benessere. Ma se questa condizione si prolunga nel tempo, può avere gravi ripercussioni sulla salute. 

È noto ad esempio che lo stress aumenta la vulnerabilità alle infezioni, compromettendo la risposta immunitaria, può causare vuoti di memoria e persino problemi cardiaci. La depressione è stata riconosciuta come un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, aumentando del 20% i disturbi a carico del cuore e dei vasi sanguigni. Lo stesso vale anche per ansia, rabbia o eventi traumatici (perdite, lutti, violenze). 

L’ottimismo allunga la vita

Viceversa, il trattamento di ansia e depressione ha dimostrato di avere effetti positivi sulla salute cardiaca, riducendo il rischio di ricovero ospedaliero e della mortalità complessiva in soggetti con insufficienza cardiaca e malattia coronarica.

Numerose ricerche hanno osservato che avere una mentalità positiva può addirittura aumentare la longevità: l’ottimismo sarebbe un vero e proprio elisir di lunga vita. 

La verità che emerge da questi studi è che si possono migliorare le condizioni di salute, e del cuore in particolare, guarendo il cervello. Ma nonostante questi risultati promettenti, i meccanismi precisi con cui gli stati mentali influenzano il sistema immunitario sono ancora poco chiari. Per i più scettici, potrebbe persino risultare impossibile esplorare in modo scientifico, rigoroso e riproducibile aspetti così complessi del cervello umano.

Curare il cuore guarendo il cervello

Ma non è dello stesso parere Asya Rolls, neuroscienziata al Technion – Israel Institute of Technology e prima autrice dello studio pubblicato su Nature Cardiovascular Research, che apre uno spiraglio  sulla nostra comprensione del misterioso legame tra mente e corpo. 

Dopo un infarto il cuore non è in grado di rigenerarsi completamente: forma invece un tessuto cicatriziale che copre la parte danneggiata, ma non si contrae come il tessuto cardiaco sano e con il tempo potrebbe “cedere” di nuovo o aprire la strada a scompenso cardiaco o sofferenza del miocardio. 

Lo studio suggerisce invece che la stimolazione dei neuroni dopaminergici nell’area tegmentale ventrale (VTA) – una parte del circuito cerebrale associato alla ricompensa – migliora la frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) – un parametro della funzionalità cardiaca – aumenta la vascularizzazione e riduce la fibrosi nei 15 giorni successivi all’infarto acuto del miocardio in modelli animali. 

La proteina C3 ripara il cuore

Una spiegazione emerge dall’analisi proteomica dei vari organi, che ha rivelato un cambiamento nelle proteine secrete dal fegato. La stimolazione della VTA aumenta la produzione di varie proteine, ma i ricercatori e le ricercatrici si sono concentrati su una in particolare: il componente del complemento 3 (C3), al centro della cosiddetta cascata del complemento, una serie di reazioni enzimatiche a catena in difesa dell’organismo contro infezioni o agenti estranei. Ma studi recenti hanno dimostrato che C3 si attiva anche nel caso di lesioni ai muscoli scheletrici e può avere un ruolo importante nella rigenerazione del tessuto muscolare. 

L’inibizione di C3 ha annullato i miglioramenti nella funzione cardiaca osservati dopo la stimolazione della VTA. Potrebbe essere questo, quindi, il tramite molecolare attraverso cui ottimismo e buonumore proteggono il cuore. Ma non sarebbe l’unico: «Ci sono molti altri fattori che abbiamo osservato nel nostro screening e che potrebbero essere target rilevanti per il trattamento degli infarti miocardici,» ha commentato Rolls.

Gli scenari futuri

L’esperimento per ora non ha mostrato differenze significative nella sopravvivenza a breve termine tra i topi stimolati e non stimolati, ma i benefici potrebbero essere più evidenti nel lungo termine. I ricercatori e le ricercatrici lo ritengono piuttosto probabile, poiché la stimolazione cerebrale ha migliorato la LVEF, un parametro di funzionalità cardiaca che correla con la mortalità nei mesi o anni successivi all’infarto.   

Queste scoperte potrebbero aprire nuove possibilità terapeutiche, suggerendo che alcune condizioni cardiovascolari o immunitarie potrebbero essere trattate con tecniche di neuromodulazione non invasive, come la stimolazione magnetica transcranica o l’ultrasuono focalizzato. Per guarire dalle conseguenze di un infarto del miocardio, non basta “pensare positivo”, chiariscono i ricercatori.

Ma fattori psicologici come stress e felicità “possono diventare uno strumento utile nella prevenzione  e nel trattamento delle malattie, influenzando anche organi distanti dal cervello.

Cover Foto di Nick Fewings su Unsplash.

Erika Salvatori
Erika Salvatori è una ricercatrice in immunoncologia e una science writer freelance. Con una laurea in Biotecnologie e un Master in Giornalismo Scientifico, è riuscita a coniugare le sue due più grandi passioni: la scienza e la scrittura. La sua attività di ricercatrice la porta a toccare con mano lo sconfinato mondo delle terapie biotecnologiche avanzate e della medicina personalizzata. La giornalista che è in lei non vede l'ora di raccontare quello che impara ogni giorno sul futuro della scienza e della medicina.

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