Uscite in giardino, giorno o notte che sia, e alzate il vostro volto verso il cielo. Ecco, nel tempo che avete impiegato a compiere questa piccolissima azione (circa 3 secondi), il vostro corpo è stato attraversato parte a parte da circa 6 particelle con un’energia intorno a 1 GeV (un miliardo di elettronvolt) provenienti dal più grande acceleratore cosmico di tutti i tempi, ossia l’Universo.
I più ansiosi si chiederanno: «Ma che vuol dire che una particella ha attraversato il mio corpo? Mi avrà fatto male? Avrà lasciato un buco da qualche parte?…»
Ma assolutamente no, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Ciò che ha appena attraversato il vostro corpo non è nient’altro che il risultato secondario di uno sciame di raggi cosmici, particelle microscopiche provenienti dai meandri più nascosti dell’Universo. La loro origine non è ancora ben chiara, così come è ancora difficile stabilire un modello teorico preciso per descrivere il loro viaggio nel mezzo interstellare, ma una cosa è certa: rappresentano uno dei fenomeni più interessanti della fisica astroparticellare, poiché possono farsi portavoci di informazioni preziosissime provenienti da migliaia e migliaia di anni luce di distanza da noi.
I raggi cosmici
In generale, il termine raggi cosmici si riferisce a particelle elettricamente cariche con energie che vanno da 1 MeV a circa 1021 eV.
L’elettronvolt (eV) è una piccolissima quantità di energia che viene generalmente usata nel mondo della fisica delle particelle. Per comprendere meglio, immaginate di prendere una pallina molto piccola e di lasciarla cadere da una discesa molto leggera. La pallina acquisirà un po’ di energia mentre scende, che sarà molto simile a quella rappresentata da un elettronvolt. Ora, prendete un milione di volte questa energia, e avrete creato un Mega elettronvolt (MeV). Per comprendere meglio: se l’elettronvolt è una mollica di pane, il Mega elettronvolt è l’intera pagnotta.
I raggi cosmici furono scoperti nel 1912 da Victor Hess, un fisico tedesco che coraggiosamente decise di intraprendere un viaggio che di vacanza sapeva ben poco: infatti, salì su un pallone aerostatico, armato di un dispositivo per misurare le particelle cariche chiamato elettroscopio a foglie, e scoprì che la quantità di particelle cariche aumentava con l’altitudine. Ciò significava che questo tipo di radiazione non proveniva da sotto ai nostri piedi, come la radiazione naturale, bensì da sopra le nostre teste. E fu così che queste particelle vennero chiamate raggi cosmici.
La composizione dei raggi cosmici è piuttosto varia: si tratta per l’ 89% di protoni e per il 9% di nuclei di elio, mentre solo l’1% è formato da nuclei più pesanti. Gli elettroni costituiscono il restante 1%, mentre positroni (ossia gli anti-elettroni, elettroni positivamente carichi) ed antiprotoni (i protoni negativamente carichi) si trovano in rapporti di 1/1000 e 1/10000 rispetto ai protoni.
Queste particelle cariche arrivano sulla Terra dall’Universo intorno a noi e, a seconda della loro provenienza, possono essere divise in due categorie principali:
- Raggi cosmici primari: si tratta di nuclei e particelle prodotti direttamente da sorgenti principalmente situate nella nostra galassia. Si pensa che i raggi cosmici di alta energia (oltre il cosiddetto ginocchio) siano di origine extragalattica.
- Raggi cosmici secondari: sono il risultato delle collisioni dei raggi cosmici primari con le particelle che incontrano sul loro cammino, siano queste del mezzo interstellare galattico o dell’atmosfera. Una volta colpita l’atmosfera, i raggi cosmici formano uno sciame di particelle che si propaga fino alla superficie terrestre, come si può osservare nell’immagine all’inizio dell’articolo.
I raggi cosmici primari includono nuclei di elio, ossigeno e ferro, mentre tra i secondari si trovano nuclei di litio, berillio, boro, fluoro e degli elementi tra il titanio e il ferro. Anche positroni e antiprotoni sono considerati principalmente prodotti secondari dei raggi cosmici.
Il flusso dei raggi cosmici in funzione dell’energia è rappresentato nel grafico seguente:
Tenendo bene a mente che in realtà una vera e propria distinzione non esiste, è possibile suddividere il grafico in tre regioni principali. A basse energie, indicate dalla regione gialla, si trovano raggi cosmici che sono per lo più galattici, il cui flusso è influenzato dall’attività solare, che comprende fenomeni come la modulazione e l’immissione di particelle dalle eruzioni solari (le cosiddette Coronal Mass Ejections o Solar Energetic Particles). La regione successiva, in blu, descrive i raggi cosmici che possiedono un’energia intermedia, mentre ad alte energie, nella regione viola, sono evidenziati i raggi cosmici extragalattici.
Inoltre, osservando lo spettro, è possibile identificare tre principali punti del grafico in cui sono presenti dei cambiamenti notevoli nella pendenza della curva:
- ∼ 4⋅1015 eV, chiamato ginocchio;
- ∼ 4⋅1017 eV, il cosiddetto secondo ginocchio;
- ∼ 4⋅1018.5 eV, denominato anca.
A questi tre cambiamenti della pendenza (o, più specificatamente, dell’indice spettrale) corrispondono altrettanti cambiamenti nella composizione dei raggi cosmici.
L’origine dei raggi cosmici
Uno dei misteri principali riguarda l’esatta origine dei raggi cosmici. Infatti, dalle due categorie descritte è possibile comprendere che, a causa delle numerose interazioni che una particella può avere nel corso della sua traiettoria, i raggi cosmici misurati dagli esperimenti sulla Terra non sono altro che il risultato di multiple collisioni avvenute nell’interazione con la nostra atmosfera. È per questo motivo che gli esperimenti che si svolgono in orbita, come ad esempio sulla Stazione spaziale internazionale, sono di grande importanza: nello spazio, infatti, siamo in grado di misurare i raggi cosmici prima che interagiscano con l’atmosfera, e in questo modo è possibile ricavare informazioni molto utili circa la loro provenienza.
Le ipotesi di riferimento, per quanto riguarda l’origine dei raggi cosmici, si riuniscono sotto il nome di teoria standard, e comprendono quelle idee e assunzioni che costituiscono il quadro di riferimento per lo studio dei raggi cosmici.
Innanzitutto, la maggior parte dell’energia dei raggi cosmici deriva dalle esplosioni di supernovae nel disco galattico. Questa teoria, proposta per la prima volta dai fisici Baade e Zwicky nel 1934, è stata confermata da osservazioni di raggi gamma, specialmente a energie dell’ordine dei GeV. Sebbene siano state proposte altre fonti di energia, come i fenomeni esplosivi nel centro galattico o il vento stellare, queste sono risultate più problematiche, rendendo la teoria delle supernovae la più accreditata. Ciononostante, è necessario aggiungere che, grazie a recenti osservazioni di raggi gamma, sia l’ipotesi del vento stellare sia quella del centro galattico sono state prese nuovamente in considerazione per l’origine dei raggi cosmici.
Inoltre, per quanto riguarda l’accelerazione dei raggi cosmici nel loro percorso all’interno del mezzo interstellare, il modello più accettato è quello dell’accelerazione diffusiva degli urti. Infatti, per fare in modo che l’intensità dei raggi cosmici nella galassia rimanga quella osservata sperimentalmente, è necessario adottare un modello secondo il quale il tasso di iniezione delle particelle (in parole povere, il numero di raggi cosmici creati all’origine) sia bilanciato con la quantità di particelle che riescono a fuggire via dalla nostra galassia. Ciò è possibile solo se le sorgenti producono particelle con una determinata pendenza dello spettro (i.e indice spettrale). La teoria prevede che i raggi cosmici con questa caratteristica provengano principalmente dai resti di supernovae, includendo però anche gli effetti a cui sono sottoposte queste particelle quando attraversano regioni dello spazio interstellare non facili da modellare, come ad esempio campi magnetici turbolenti.
In ogni caso, è necessario essere cauti con queste predizioni teoriche, in quanto una vera e propria teoria su come le particelle sono accelerate dagli urti con i resti di supernovae non è ancora stata consolidata.
Domande aperte nella teoria standard
Recenti osservazioni hanno evidenziato delle caratteristiche inaspettate dei raggi cosmici, e ciò ha portato ad una serie di domande su alcuni aspetti della teoria standard. In aggiunta a queste nuove questioni, sono presenti anche alcuni problemi che persistono da anni.
Uno degli interrogativi principali è il cosiddetto ginocchio, una caratteristica del loro spettro energetico. Questo fenomeno si verifica a energie di qualche PeV, dove la pendenza dello spettro cambia e diventa E^(-3). Sotto questa soglia, i raggi cosmici sono dominati da protoni, mentre sopra di essa aumentano gli elementi pesanti. Il ginocchio potrebbe indicare che le sorgenti di raggi cosmici galattici, come le supernovae, perdono efficienza nell’accelerare particelle a queste alte energie. Un’altra teoria suggerisce che il campo magnetico galattico non riesca più a confinare le particelle sopra questa energia.
L’energia del ginocchio rappresenta la massima energia raggiungibile dai protoni attraverso gli acceleratori galattici. Tuttavia, accelerare i protoni a energie così alte è complesso, e non si è ancora del tutto sicuri che il meccanismo di accelerazione comprenda i resti di supernovae. Per poter confermare questa teoria, sarebbe necessario rilevare neutrini o raggi gamma provenienti da questi oggetti o dalle loro vicinanze. Tuttavia, per ora ciò rimane ancora una questione aperta.
Un’altra caratteristica particolare dello spettro dei raggi cosmici è la cosiddetta anca, ossia quella regione più ripida del grafico che appare all’altezza di energie pari a ∼ 3⋅1018 eV. Si pensa che questa pendenza indichi l’inizio della dominanza dei raggi cosmici extragalattici, mentre quelli galattici si esauriscono a queste energie.
Come già visto precedentemente, nello spettro dei raggi cosmici si pensa che il ginocchio corrisponda alla massima energia dei protoni accelerati dalle sorgenti galattiche, con gli elementi pesanti che contribuiscono alla forma dello spettro ad energie più grandi. Nei modelli attuali, il contributo delle sorgenti galattiche allo spettro totale dovrebbe raggiungere un’energia massima di circa ∼ 1017 eV. Tuttavia, questa energia risulta essere circa 30 volte più piccola di quella dell’anca: ecco che si pone il problema, nella teoria standard, della transizione da raggi cosmici galattici a raggi cosmici extragalattici.
Una soluzione potrebbe essere che questa transizione avvenga prima, a circa ∼ 1017 eV, dove compare un’altra caratteristica dello spettro chiamata secondo ginocchio. Tuttavia, questa ipotesi sembra piuttosto inverosimile: sarebbe necessario, infatti, un preciso allineamento tra la scomparsa delle sorgenti galattiche e l’emergere di quelle extragalattiche, oltre a richiedere una nuova spiegazione per l’anca.
Un’altra ipotesi è l’esistenza di una terza popolazione di raggi cosmici, che riempirebbe il divario tra le supernovae galattiche e le sorgenti extragalattiche. Oppure, potrebbe esserci un sottogruppo di supernovae che contribuisce ai raggi cosmici corrispondenti a queste energie.
Infine, un’altra possibile risposta potrebbe essere quella di mettere in dubbio tutta la teoria standard dei resti di supernovae e considerare che anche altre sorgenti, più esotiche e meno conosciute, potrebbero dominare lo spettro dei raggi cosmici fino all’anca.
La strategia per il futuro
Le recenti scoperte sui raggi cosmici richiedono nuove strategie di ricerca, combinando osservazioni dirette e indirette per risolvere il mistero della loro origine.
Per quanto riguarda le osservazioni dirette, una strategia fondamentale è quella di estendere le misure dello spettro di elettroni e positroni a energie più elevate, oltre 1 TeV. Questi spettri contengono informazioni cruciali sui meccanismi di produzione e sulla distribuzione spaziale delle sorgenti. Lo stesso approccio può essere applicato agli antiprotoni.
Per le osservazioni indirette, migliorare la rilevazione dei raggi gamma a energie multi-TeV sarà fondamentale. Strumenti più sensibili e con maggiore risoluzione energetica permetteranno di studiare meglio le sorgenti conosciute e scoprirne di nuove. Inoltre, studiare le interazioni dei raggi cosmici a bassa energia con il mezzo interstellare, specialmente in aree complesse e difficilmente riproducibili nelle simulazioni, è vitale.
Diversi esperimenti hanno contribuito e continuano a contribuire alla nostra comprensione dei raggi cosmici. Tra questi, possiamo menzionare IceCube, un esperimento con base sulla Terra e situato al Polo Sud; PAMELA, esperimento, oramai terminato, che si trovava su un satellite orbitante; TRACER, un rilevatore su un pallone aerostatico; i telescopi spaziali DAMPE e CALET, e infine AMS, situato sulla Stazione Spaziale Internazionale.