Milioni di persone vivono con l’ombra del Long Covid, una sindrome misteriosa e debilitante che continua a insidiare le vite degli ex-pazienti anche mesi dopo la guarigione. I ricercatori dell’Università della Pennsylvania ritengono che la causa dei sintomi neurologici del Long Covid potrebbe risiedere nel “secondo cervello” che alberga nella nostra pancia e può far sentire le “farfalle nello stomaco” quando siamo nervosi o in ansia.
Nei pazienti affetti da Long Covid, una ridotta produzione di serotonina da parte del sistema nervoso enterico interromperebbe la comunicazione tra intestino e cervello, causando i principali sintomi, come la “nebbia mentale” o la perdita di memoria.
Lo studio è stato pubblicato a ottobre su Cell.
L’ombra del Long Covid
Il 5 maggio 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato finita l’emergenza Covid-19: nonostante la pandemia sia ormai alle spalle, la minaccia alla salute globale resta. Non solo perché il virus SARS-CoV2 potrebbe ancora mutare e dare origine a varianti più contagiose o pericolose, che metterebbero di nuovo sotto pressione il sistema sanitario, ma anche a causa degli strascichi di questa malattia, che quasi una persona su 5 si porta dietro per diverso tempo, anche dopo essere guarita dall’infezione.
La sindrome post-Covid o Long Covid è ancora presente nelle vite di milioni di persone che faticano a lasciarsi alle spalle la pandemia e tornare a un vita normale.
Questa sindrome si manifesta con una varietà di sintomi non riconducibile a nessuna altra patologia conosciuta. Un sondaggio su quasi 4000 persone pubblicato su eClinicalMedicine ha riportato ben 203 sintomi, e una sessantina persistono anche dopo 7 mesi. La tipologia e la durata dei sintomi variano da persona a persona, ma i più comuni sono stanchezza, fiato corto, problemi cognitivi, emicrania, insonnia, nausea, vertigini, formicolii, dolore articolare, e debolezza muscolare.
Ad oltre 3 anni dall’inizio della pandemia, la comunità scientifica è giunta alla conclusione che il Long Covid non è un singolo disturbo, ma un mix di patologie diverse: questo significa che non ci potrà essere una terapia valida per tutti né un’unica causa dietro lo sviluppo dei sintomi.
L’asse intestino-cervello
Un recente studio pubblicato su Cell fornisce una nuova chiave di lettura dei sintomi neurologici che affliggono alcune persone con il Long Covid, come la cosiddetta “nebbia cerebrale” o la perdita di memoria. La causa, secondo gli scienziati, sarebbe da ricercare in una diminuzione della serotonina prodotta nel sistema nervoso enterico, che interromperebbe la comunicazione tra cervello e intestino.
C’è una ragione se l’intestino viene spesso definito il “secondo cervello”: in esso sono presenti oltre 500 milioni di neuroni, che regolano stress, ansia e tensione, aiutano a fissare i ricordi legati alle emozioni e hanno un ruolo fondamentale nel segnalare gioia e dolore. Per questo tante persone sperimentano crampi dolorosi prima di un esame o di un colloquio di lavoro o la sensazione di “farfalle nello stomaco” quando sono nervose o in ansia. Anche la felicità provocata dall’assunzione di cioccolata è una reazione chimica prodotta dal rilascio della serotonina.
Più del 95% della serotonina impiegata nel corpo e nel cervello è prodotta dall’intestino. Anche se non raggiunge direttamente il cervello, può influenzarlo attraverso i circuiti neuronali. Il nervo più lungo del cervello, chiamato nervo vago, si connette all’intestino e utilizza la serotonina come neurotrasmettitore per comunicare e regolare funzioni biologiche e neurologiche, come l’umore, la digestione, l’appetito, l’apprendimento, la memoria, la risposta immunitaria e la frequenza cardiaca.
Infiammazione e serotonina nei pazienti
L’ipotesi dei ricercatori, quindi, è che la riduzione di serotonina interrompa la comunicazione tra intestino e cervello. I pazienti con Covid-19 mostrano infatti livelli alterati di vari metaboliti, compresa la serotonina, già durante l’infezione iniziale. Ma questi squilibri persistono anche nei pazienti che sviluppano il Long Covid, che continuano ad avere livelli ematici di serotonina, e del suo precursore triptofano, molto più bassi rispetto ai pazienti sani.
Nei topi da laboratorio, la carenza di serotonina riproduce uno dei sintomi più frequenti e invalidanti del Long Covid, la cosiddetta “nebbia cognitiva”, che negli esseri umani si manifesta con difficoltà di concentrazione, rallentamento psichico e senso di confusione.
I ricercatori si sono chiesti, quindi, perché il corpo non riesce più a produrre serotonina. Uno studio recente ha mostrato che alcuni pazienti con Long Covid continuano a emettere frammenti del virus SARS-CoV2 nelle feci per mesi dopo l’infezione e che questi stimolano il sistema immunitario a rilasciare proteine di lotta chiamate interferoni. I resti virali, insomma, causano uno stato di infiammazione cronica che riduce l’assorbimento di triptofano dai cibi, un amminoacido essenziale che il corpo umano usa per produrre la serotonina.
Negli animali, bloccare gli interferoni (ma anche integrare il triptofano nel loro cibo) ha ridotto l’infiammazione e mantenuto alti i livelli di serotonina e triptofano, ripristinando la segnalazione del nervo vago.
Antidepressivi contro il Long Covid?
Le prestazioni dei topi malati nei test cognitivi sono migliorate anche dopo la somministrazione di alcuni comuni farmaci antidepressivi chiamati inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI), come il Prozac.
La loro funzione è di migliorare l’umore attraverso un aumento della serotonina nel cervello, ma potrebbero funzionare anche contro i sintomi del Long Covid?
L’esperimento sugli animali suggerisce di sì, ma è ancora presto per dire se gli stessi risultati verranno confermati anche sulle persone. Uno studio non ancora sottoposto a peer review mostra che i pazienti con il Covid che già assumevano SSRI avevano il 25% in meno di rischio di sviluppare il Long Covid. Ma sono necessari nuovi studi per stabilire quale SSRI e a quale dosaggio sia più adatto nel trattamento del Long Covid.
In un’epoca post-emergenza COVID-19, la persistenza del Long Covid è un’ombra che continua a sfidare la salute globale. La ricerca dell’Università della Pennsylvania svela un legame tra il calo di serotonina prodotta dall’intestino e i sintomi neurologici, aprendo la strada a nuove prospettive di trattamento.