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Curcumina, la nuova speranza contro lo sbiancamento dei coralli

È italiana la nuova ricerca, prima al mondo di questo genere, che dimostra l’efficacia di una sostanza naturale, la curcumina, nel proteggere i coralli dai danni del riscaldamento globale. 

Se avete nuotato nelle acque cristalline di un’isola tropicale e ammirato il tripudio di forme e colori della barriera corallina, siete fortunati. I vostri nipoti, forse anche i vostri figli, potrebbero non essere in grado di vivere la stessa esperienza.

Gli scienziati stimano che se non si interviene il 90% delle barriere coralline scomparirà nei prossimi 20 anni.

La causa è il riscaldamento globale, il primo responsabile di quello che gli scienziati chiamano “sbiancamento”: i coralli perdono la loro pigmentazione e se l’aumento di temperatura perdura nel tempo, muoiono. Ma una ricerca tutta italiana ha dimostrato l’efficacia di un metodo completamente nuovo per proteggere i coralli dai danni dei cambiamenti climatici. 

L’intuizione del dottor Marco Contardi, ricercatore del gruppo Smart Materials dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, è stata quella di usare la curcumina, una sostanza naturale con proprietà antiossidanti. Lo studio realizzato in collaborazione con l’Acquario di Genova è stato pubblicato su ACS Applied Materials and Interfaces

Il dottor Contardi ci ha raccontato come è nata l’ispirazione per questo studio e quali saranno i prossimi passi, che porteranno i ricercatori a testare la sostanza sul campo, nei meravigliosi fondali dell’isola di Magoodho nell’arcipelago delle Maldive. 

Simone Montano durante un’apnea per riprendere gli organismi macro simbionti di una colonia di corallo. Credits: Università Milano-Bicocca.

Cosa è lo sbiancamento dei coralli?

«Non tutti sanno che i coralli sono animali, polipi che vivono in simbiosi con delle alghe, le zooxanthelle.

Queste sono il motivo per cui abbiamo i colori meravigliosi della barriera corallina: senza le alghe, il corallo sarebbe bianco, come il carbonato di calcio di cui è composta la sua struttura.

Ma oltre al colore, le alghe forniscono al corallo anche circa l’80% del nutrimento grazie alla fotosintesi.

Lo sbiancamento è una risposta allo stress causato principalmente dall’aumento delle temperature: in queste condizioni, le alghe producono specie tossiche, i radicali liberi, che danneggiano il corallo.

La sua unica possibilità di rimanere vivo è espellere le alghe (per questo sbianca), ma se la causa dello stress persiste, nella maggior parte dei casi muore di fame.

La buona notizia è che il fenomeno è reversibile: se le condizioni tornano normali, il corallo può riacquisire le alghe disperse nell’acqua e sopravvivere.»

Perché i coralli sono così importanti?

«La barriera corallina è stata valutata 1.5 triliardi di dollari.

È una risorsa di cibo e turismo per le popolazioni locali, che vivono letteralmente grazie ad essa, poiché la sua presenza protegge le coste dall’erosione dell’oceano e permette a stati come le Maldive di esistere.

Insieme alla foresta amazzonica, costituisce inoltre l’ecosistema con il più alto grado di biodiversità: è la casa di milioni di specie animali e vegetali

Cosa si sta facendo per contrastare lo sbiancamento?

«Attualmente esistono tre tipi di approccio.

Il primo, geo-ingegneristico, consiste nel creare delle finte nuvole con un meccanismo simile a quello dei cannoni sparaneve: queste nuvole fanno da schermo alla luce, che insieme all’aumento della temperatura può provocare la produzione di radicali liberi.

Esiste poi un approccio di tipo meccanico, con una ventola che muove l’acqua fredda dal fondo alla superficie, per bilanciare e ridurre la temperatura.

Il terzo approccio, ancora in fase sperimentale, è la somministrazione di probiotici, simili a quelli che prendiamo anche noi quando abbiamo problemi gastrointestinali. Questi microrganismi possono avere benefici sui coralli e renderli più forti e resistenti.»

Corallo Stylophora pistillata ricoperto del biomateriale durante le prove di stress termico. Credits: Università Milano-Bicocca.

Il vostro approccio è diverso da tutti e tre. 

«Noi abbiamo usato una sostanza naturale, la curcumina. Si tratta in effetti di una metodologia completamente nuova per salvaguardare la barriera corallina.»

Come è nata l’idea di usare la curcumina per “curare” i coralli?

«Io sono un chimico e tecnologo farmaceutico con una tesi di laurea sui derivati della curcumina, anche se all’epoca mi occupavo di altre applicazioni, lontane dal campo marino.

Poi ho conosciuto il dottor Paolo Galli e Simone Montano, che sono i due biologi marini ed ecologi con cui collaboro adesso.

Studiando il sistema corallo ho notato come la loro risposta allo stress da radicali liberi è simile a quella dell’uomo: la curcumina, infatti, ha dei benefici anche sulla salute umana per le sue naturali proprietà antiossidanti che bloccano i radicali liberi.

Ma ha anche altri vantaggi: è naturale, e quindi sicura per l’ambiente, può essere reperita facilmente a basso costo, ed essendo colorata possiamo essere sicuri di applicarla nel posto giusto.

C’è però un problema: la curcumina non è solubile in acqua.»

Come lo avete superato?

«È stata la principale sfida tecnologica del nostro lavoro.

Abbiamo applicato la curcumina sul corallo per mezzo di un biomateriale a base di zeina (una proteina del mais, idrofobica) e di polivinilpirrolidone, un polimero usato in campo farmaceutico per idrogel e lenti a contatto, che al contrario è molto solubile in acqua.

Queste due componenti, se mescolate insieme, danno origine a nuovo materiale, completamente biodegradabile, con proprietà intermedie di diffusione in acqua e quindi in grado di rilasciare il farmaco in maniera controllata.

Ad esempio, la velocità di rilascio, aumenta con la temperatura, ovvero quando il corallo ne ha più bisogno.»

Il vostro metodo funziona?

«Il lavoro è stato testato prima nel laboratorio di Smart Materials dell’IIT e poi all’Acquario di Genova.

Durante i test si sono simulate le condizioni di surriscaldamento dei mari tropicali, alzando la temperatura fino a 33 gradi per circa 36 ore. Abbiamo valutato sia il cambiamento di colore sia la quantità di alghe presenti nel corallo.

Gli esemplari trattati con la curcumina mantenevano il colore e la quantità di alghe uguali a quelle iniziali, senza mostrare i segni dello sbiancamento, al contrario degli altri gruppi non trattati.

I risultati sono stati molto positivi.»

Quali saranno i prossimi passi?

«L’università di Milano-Bicocca gestisce un centro di ricerca alle Maldive sull’isola di Magoodhoo nell’atollo di Faafu, il MaRHE Center, che da 10-15 anni compie studi sulla barriera corallina.

Ci stiamo quindi preparando a testare l’applicazione in natura e su larga scala, per il momento nei mari tropicali, ma in futuro anche nel nostro Mediterraneo.

Allo stesso tempo stiamo valutando anche altre sostanze naturali e altri sistemi di somministrazione: non è detto che la curcumina sia l’unica o la più potente.»

Si è parlato molto questa estate degli effetti del riscaldamento globale, anche nei nostri mari che hanno raggiunto e superati i 30 gradi. Come influisce questo sulla salute dei coralli?

«Certamente stiamo andando in una direzione in cui il riscaldamento climatico sta diventando drastico.

I coralli nella fascia tropicale vivono tra i 25 e i 28 gradi. Una temperatura di 30-32 gradi è già molto pericolosa per la barriera.

Possono sembrare pochi gradi ma hanno un effetto drastico: per fare un paragone, un aumento di 5 gradi per un essere umano significa passare da una temperatura corporea di 37 gradi a una di 42 gradi, che di certo non ci fanno stare bene. 

Questi fenomeni di innalzamento della temperatura locale o generale stanno avvenendo sempre più frequentemente e su chilometri di costa: sono chilometri di barriera corallina che ha impiegato milioni di anni per formarsi  e che ora rischiamo di perdere in maniera irreversibile.»

Nel 2050 potremmo aver perso più del 50% della barriera.

Siamo ancora in tempo per salvare la barriera corallina?

«Quando l’aumento della temperatura avviene per un periodo prolungato, diventa sempre più difficile salvare il corallo.

La nostra speranza però è di poter intervenire durante queste ondate di calore, che possono durare anche due o tre settimane, somministrando la curcumina e aiutando il corallo a sopravvivere fino a che la temperatura non torna normale.»

Cover Ph: il ricercatore Marco Contardi durante la preparazione del biomateriale.
Credits: Istituto Italiano di Tecnologia – © IIT, all rights reserved.

Erika Salvatori
Erika Salvatori è una ricercatrice in immunoncologia e una science writer freelance. Con una laurea in Biotecnologie e un Master in Giornalismo Scientifico, è riuscita a coniugare le sue due più grandi passioni: la scienza e la scrittura. La sua attività di ricercatrice la porta a toccare con mano lo sconfinato mondo delle terapie biotecnologiche avanzate e della medicina personalizzata. La giornalista che è in lei non vede l'ora di raccontare quello che impara ogni giorno sul futuro della scienza e della medicina.

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