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La biodiversità dei licheni: come questi “organismi” ci aiutano nello studio degli ecosistemi e dell’inquinamento. La situazione italiana

Tutti noi, più o meno sappiamo quanto la biodiversità, ovvero la diversità delle specie viventi, sia importante per la conservazione degli ecosistemi. Siamo abituati a pensare agli animali, più raramente, alle piante. Ma ci sono degli organismi che difficilmente prendiamo in considerazione, semplicemente perché li conosciamo poco e le persone che si occupano di studiarli non sono tantissime, i licheni.

È per questo motivo che abbiamo deciso di intervistare due lichenologi: Luca Di Nuzzo, dottorando presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, e il dott. Gabriele Gheza del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, co-autori di “Species–area relationship in lichens tested in protected areas across Italy.”

Innanzitutto, che cosa sono i licheni?

«I licheni sono organismi particolari, perché in realtà sono la convivenza di due organismi: un fungo e un’alga. Tramite questa simbiosi riescono ad adattarsi all’interno di tantissimi ambienti diversi.» …Spiega Luca.

I due principali componenti (perché possono essere coinvolti anche batteri, protisti ecc.) di questa simbiosi hanno un ruolo definito: l’alga fa la fotosintesi, mentre il fungo costituisce la struttura principale del lichene, la protegge dagli agenti esterni, quali inquinanti e raggi UV, e trattiene l’acqua che consente la sopravvivenza.

«Questa convivenza è nata più volte nel corso dell’evoluzione» aggiunge Luca, a dimostrazione del successo adattativo dei licheni.

Gabriele precisa: «È interessante notare che a volte nella simbiosi sono coinvolti anche cianobatteri e quindi, oltre al Carbonio (grazie alla presenza dell’alga), i licheni possono fissare anche l’Azoto, componente fondamentale delle reti trofiche.»

Potete sintetizzare il concetto di relazione specie-area (RSA)? Perché si usa?

«La relazione specie-area è il concetto secondo cui all’aumentare di un’area, aumenta anche il numero di specie. Sembra scontato ma non sempre è così. Nasce nell’800 ed è un concetto che rimane valido in tutti gli studi di ecologia», ci dice Luca. «Studiare la relazione specie-area è importante per analizzare la biodiversità delle specie in un determinato territorio. È fondamentale in termini di conservazione, perché se usata al contrario (al diminuire di un’area quante specie perderò?), può darci indicazione su come realizzare le aree protette e sull’impatto ambientale dell’uomo.»

Quindi, ci dà indicazione diretta della perdita di biodiversità e ci permette di fare una valutazione precisa per realizzare o ingrandire le aree protette.

È la prima volta che la relazione specie – area viene applicata ai licheni? Perché questo vostro lavoro è importante?

«È sicuramente la prima volta che si è fatto su un’area così grande –  una quarantina di aree protette in tutta Italia – e con il diretto scopo di analizzare questo parametro. È anche la prima volta che viene fatto attingendo a dati molto precisi, cioè le liste delle specie in archivio per ognuna delle aree considerate.» …Spiega Gabriele.

Aggiunge: «In questo senso il lavoro è pionieristico ed è interessante, a livello di conservazione, aver iniziato a studiare la relazione specie area nei licheni, perché sono organismi che non vengono quasi mai presi in considerazione. La carenza di conoscenza di base, va a inficiare gli scopi conservazionistici».

Infatti, la conoscenza degli organismi è il punto di partenza della conservazione di qualunque specie. Per quanto riguarda i licheni, questo è valido a maggior ragione, perché non sono organismi così noti fuori dalle università e comunque non tanto studiati nemmeno dagli addetti ai lavori.

«Consideriamo che anche se non sono molto conosciuti, i licheni hanno un ruolo negli ecosistemi molto importante: dal ciclo del carbonio, al ciclo dell’acqua, a quello dell’azoto», interviene Luca.

Potete riassumere i risultati di questo lavoro e le implicazioni che hanno?

Luca inizia: «Abbiamo preso queste liste di specie delle aree protette e abbiamo diviso i licheni in 3 gruppi sulla base del substrato su cui si sviluppano: il suolo, le rocce, gli alberi. Per ogni gruppo abbiamo costruito una relazione specie area. Abbiamo notato che i licheni che vivono sul suolo aumentano meno all’aumentare dell’area, rispetto agli altri. Non solo, questo lavoro ci ha permesso di individuare quelle aree protette meno studiate, o che possono essere considerate hotspot di biodiversità. Tra questi il Parco Naturale di Paneveggio, che si trova sopra alla curva che abbiamo costruito perché ha un numero di specie estremamente elevato. Altre tre aree, Il Parco dello Stelvio, quello della Majella e quello del Ticino, hanno un numero di specie inferiore alla curva.»

Questo probabilmente è dovuto a un sottocampionamento nei parchi della Majella e dello Stelvio, mentre per quanto riguarda il Parco del Ticino, può essere indice del forte impatto antropico nell’area.

«Sottolineerei proprio i risultati che si discostano dalla curva di specie area, che ci permettono di fare queste inferenze generalizzabili: innanzitutto è importante fare ricerche approfondite per avere un’idea realistica della biodiversità lichenica. Se Paneveggio è un parco studiatissimo fin dall’800, dall’altra lo Stelvio e la Majella che sono a livello di studio preliminare, parziale. Relativamente alla valle del Ticino, buona parte del territorio dell’area protetta è destinata all’agricoltura, o occupata da centri abitati, o grosse infrastrutture, come l’aeroporto di Malpensa…», aggiunge Gabriele.

Questo ci conferma che la relazione specie area è influenzata dalla eterogeneità ambientale: rimane quindi valida quando siamo in presenza di zone dove gli ambienti variano a seconda per esempio di altitudine e clima; ma nelle aree antropizzate, dove c’è un appiattimento, un’omogeneizzazione dell’ambiente, anche all’aumentare dell’area considerata, il numero di specie non aumenta in maniera significativa.

In relazione a quello che avete appena detto, i licheni si possono considerate indicatori ambientali?

Luca chiarisce: «I licheni sono assolutamente considerabili biondicatori (si sa dalla fine dell’800), perché sono molto sensibili all’inquinamento. Per questo, a partire dagli anni ‘60 sono stati usati in progetti di biomonitoraggio ambientale. Recentemente, sono stati indicati anche come biomonitor del cambiamento climatico.»

Potete parlare del progetto in cui è inserito questo particolare lavoro?

«Questa ricerca si inserisce in quello che i nostri gruppi di ricerca cercano di fare, cioè applicare le conoscenze  di base sia in campo ecologico, sia in campo floristico, alla conservazione della biodiversità. Nel nostro mondo così impattato dall’uomo, sia al livello globale, che locale (basti pensare che l’Italia è il paese europeo col maggior e più veloce consumo di suolo a scopo umano), è importante usare queste conoscenze ottenute per trovare dei modi per conservare la biodiversità che ancora ci è rimasta», conclude Gabriele.

Fonti:

– Gheza, G., Di Nuzzo, L., Giordani, P., Chiarucci, A., Benesperi, R., Bianchi, E., Nascimbene, J. (2023). Species–area relationship in lichens tested in protected areas across Italy. The Lichenologist, 55(5), 431-436. doi:10.1017/S0024282923000488

Lichenologia su vasta scala: la “relazione specie-area” nei licheni

Alice Mosconi
Conservation Scientist e Paleoantropologa molecolare, da Firenze vola a Berlino per l’Erasmus. Qui lascia i banconi e i camici di laboratorio per seguire la sua grande passione: la divulgazione scientifica. Muove i primi passi in questo campo con il lockdown 2020, dedicando la sua pagina Instagram a post e storie esplicativi su evoluzione e materiali per le opere d’arte, poi inizia a collaborare con associazioni e riviste scientifiche, convinta che la conoscenza è utile solo se condivisa.

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