Essere madri è un’impresa. Una responsabilità, un lavoro a tempo pieno, alcune volte una prigione.
È anche una gioia ovviamente, un’eterna lezione di amore. Eppure, tutti i risvolti positivi della maternità non dovrebbero celare quelli più negativi.
Gli alti e bassi della maternità sono al centro di The Lost Daughter (tratto da La figlia oscura di Elena Ferrante), esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal.
Un esordio che sembra però opera di una regista già matura. Dopotutto, con i suoi 29 anni di carriera nel cinema, la Gyllenhaal aveva tutte le carte in tavola per adattare al meglio il romanzo della Ferrante.
In The Lost Daughter seguiamo Leda (due magnifiche attrici, Olivia Colman per il presente e Jessie Buckley per i flashback) tra una vacanza in Grecia nel presente e la sua vita passata. Una numerosa famiglia in spiaggia le farà tornare alla mente il suo rapporto mancato con le figlie.

La Leda del passato era giovane, ambiziosa e alla ricerca di una libertà che molto spesso la famiglia toglie.
Per ritrovare questa libertà, però, sceglie una strada che con gli anni rimpiangerà. E nel presente, il rimorso e il senso di colpo la consumano, quasi quanto una malattia. Quasi, anche, come un’ossessione.
Leda è un personaggio estremamente fragile, che cerca di isolarsi senza però riuscirci fino in fondo. Le persone che le stanno intorno sembrano attratte da lei, nonostante il suo desiderio di solitudine.
Ma la solitudine è come una punizione che Leda stessa si autoinfligge, come se stesse ancora scontando la pena di quello che ha fatto in passato.
Gli altri personaggi che gravitano intorno a Leda non sono solo di contorno, ma ognuno di loro ha uno specifico ruolo. Un qualcosa che inevitabilmente richiama alla memoria la vita passata di Leda.

Più di tutti, il personaggio di Nina (Dakota Johnson), ricorda la stessa Leda da giovane. Sovrastate entrambe dalle pressioni della maternità, senza un aiuto concreto e con la voglia di essere libere, sia Nina che Leda giovane incarnano il modello che ci è stato imposto di madre “snaturata”.
Una madre che non pensa in primis al bene dei propri figli, ma che al contrario, sceglie prima se stessa. Una madre del genere è tutt’ora etichettata come “snaturata”, fuori natura.
Eppure, anche le madri sono umane. Anche le madri hanno bisogno dei loro spazi, di seguire il proprio cuore, anche se questo potrebbe voler dire abbandonare i propri figli. Ma scegliere, anche solo per poco, sé stesse non dovrebbe essere visto come una male.
Molto spesso, le famiglie si sfaldano più facilmente quando i genitori fanno di tutto per rimanere, nonostante non siano felici.

Quello di Leda in The Lost Daughter è un ritratto semplice, onesto e profondamente umano di una donna e di una madre. Un ritratto ancora molto coraggioso, nonostante il nostro vanto di vivere in una società all’avanguardia.
Maggie Gyllenhaal si sofferma sui volti, analizza le espressioni della Colman e ne abbraccia i movimenti. Il tutto con estrema delicatezza e sincerità, senza mai oltrepassare i limiti delle emozioni degli stessi personaggi, ma parlando attraverso il silenzio e lasciando agli spettatori il compito di comprendere i sentimenti più profondi.
Con interpretazioni toccanti e profonde da parte dell’intero cast, una colonna sonora nostalgica e una sceneggiatura (scritta dalla stessa Gyllenhaal) che arriva dritta al cuore, il debutto alla regia di Maggie Gyllenhaal ci fa emozionare e sperare in grande per il cinema diretto da donne.