La giornata inaugurale della Festa del Cinema di Roma 2023 è iniziata con l’anteprima stampa del film di apertura “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi e ci ha regalato anche il primo Incontro della manifestazione capitolina, quello che accompagna la consegna del Premio alla Carriera a Shigeru Umebayashi, incontro moderato da Federico Sacchi (Musicteller e Sound designer della colonna sonora del red carpet 2023).
Il compositore è stato l’amato (e acclamato dal pubblico della festa) protagonista di una Masterclass in Sala Petrassi nella quale, a partire da il suo leggendario In the Mood for Love, si è lasciato andare a ricordi e confidenze: dagli inizi ‘brit’ al sogno di lavorare con Martin Scorsese.
La prima traccia presentata al pubblico è quella dei “Platinum Night”, singolo del 1980 del duo EX nel quale ‘Ume‘ (come lo chiamano gli amici) muoveva i suoi primi passi sulla scena musicale giapponese dell’epoca. Un panorama influenzato dal rock statunitense e il sound della West Coast, meno dalle sonorità del pop britannico, alle quali invece il musicista si sentiva più vicino.
Prima di approdare alla composizione per film, infatti, il musicista era un chitarrista surf influenzato da artisti americani ed occidentali come i Beatles.
Ume: «La Yellow Magic Orchestra e Ryūichi Sakamoto avevano affrontato le loro grandi sfide, ma noi avevamo la nostra nicchia!»
«Alla base della mia musica c’era una eco della musica dei Beatles, che sono stati molto importanti per me come influenza.
Tutti mi conoscono come un serio compositore di colonne sonore, ma in fondo resto un vecchio rocker!»
E invece come è iniziato il rapporto con il cinema?
«Nel 1985 avevo conosciuto Yūsaku Matsuda, il Sato del Black Rain (Pioggia sporca) di Ridley Scott, che mi aveva chiesto di realizzare una canzone per lui.»
Ha detto di considerare un modello il film Il terzo uomo di Carol Reed, ma per lei è Sorekara di Yoshimitsu Morita il titolo da ricordare, perché?
«Fu il mio terzo film, con questo acquisii la consapevolezza dell’atto del compore una colonna sonora.
All’epoca avevo solo la mia chitarra a casa: spinto dal mio passato di rockstar, scrivevo partendo da dei temi chitarristici, per poi approdare al pianoforte quando noleggiavo uno studio di registrazione, dove mi servivo di rudimentali registratori a cassette per catturare l’estemporaneità delle composizioni.
Quindi per i primi due film continuavo ad andare in studio con i registi per suonare in diretta il pianoforte e far loro ascoltare la colonna sonora che avevo composto per il film.
Sul set di Sorekara il regista mi disse: la sua musica è fantastica ma non stia a suonare il pianoforte.
Fino ad allora avevo continuato a produrre musica che era un prolungamento della mia attività con gli EX, ma da lì presi consapevolezza di quel che significava comporre una colonna sonora.
E quella era la musica che ho dentro di me, anche oggi, e sono riuscito ad esprimerla attraverso quel film.»
Nel 1988, invece, il compositore pubblica un disco da solista intitolato UME, registrato a Londra assieme a Georg Kajanus dei Sailor. Il risultato, decisamente non un successo commerciale, è una frizzante miscela tra le sonorità à la Brian Ferry e influenze orientali.
…E oggi qual è il suo modo per approcciarsi a una colonna sonora?
Per la creazione di una colonna sonora è necessario essere totalmente liberi.
Bisogna essere artisticamente liberi quando si compone, un ingrediente, questo, indispensabile per plasmare una propria cifra stilistica.»
Chi o cosa è un compositore per il cinema?
«Un compositore per colonne sonore deve saper raccontare un’opera d’arte dando una prospettiva diversa della stessa opera d’arte.
In questo senso mi piace citare la frase di Nietzsche che dice: “Ciò che contraddistingue le menti veramente originali non è l’essere i primi a vedere qualcosa di nuovo, ma il vedere come nuovo ciò che è vecchio, conosciuto da sempre, visto e trascurato da tutti“.»
Molti di noi la ricordano per il suo lavoro con Wong Kar-wai e Zhang Yimou. Che rapporto ha avuto con questi due registi?
«Sono due artisti completamente differenti, il primo lavora praticamente senza uno script, il secondo invece è precisissimo, scrive tutto, anche che tipo di musica vuole in una scena. Lo fa perché vuole guidarti, ma non è mai imperativo.
Una curiosità in merito è che inizialmente Kar-wai mi aveva chiamato per le musiche di 2046, ma dopo un briefing a Hong Kong mi disse che forse voleva realizzare un altro film prima di quello, In the Mood for Love, e me ne ha raccontato la trama a pranzo.»
Il musicista ha collaborato con tanti registi internazionali e anche con autori italiani, tra i quali si annovera il sodalizio con Roberta Torre in Mare nero (2006), riconfermato anche in Mi fanno male i capelli, ultima sua pellicola in concorso nella kermesse di quest’anno.
«Mare nero fu il primo film italiano per cui realizzati una colonna sonora. Riguardo la quale la regista mi lasciò sempre molto libero.
In quel caso, nella scena di apertura si sente una specie di flauto, un shakuhachi tipico giapponese, in particolare dei film di samurai: questo è un esempio dell’approccio assolutamente libero di cui parlavo.
In questo caso ho inserito uno strumento atipico per il genere del film in mezzo agli altri più tradizionali.»
Noi non abbiamo non potuto chiedergli: qual è un regista, vivente o non vivente, con cui avrebbe voluto collaborare e perché?
«Tra i vari, sicuramente Martin Scorsese. perché ha avuto una carriera divertente!
Vorrei avere delle conversazioni con lui. Credo che la sua carriera sia davvero molto divertente, a prescindere da cosa si pensi dei suoi film. Una volta l’ho anche incontrato a Tokyo, ma io nel mio lavoro “non timbro il cartellino”… Deve essere lui a chiamarmi!»
In chiusura, il Sensei ad uno spettatore che gli chiede un consiglio su come un regista dovrebbe approcciarsi ad un compositore, risponde scherzando, con tutta la sua ironia e la leggerezza tipica di un grande maestro…
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