Per lungo tempo, gli esseri umani hanno confinato animali come ratti o pipistrelli ai margini delle loro zone abitate, considerandoli fonti di malattie e rischi per la salute. Ma se gli animali avessero voce in capitolo, probabilmente farebbero bene a usare la stessa cautela nei nostri confronti.
Una recente ricerca condotta dalla University College London (UCL) costringe l’Homo sapiens a svestire i panni di semplice vittima dei virus zoonotici (trasmessi tra gli animali e l’uomo) e a indossare, invece, quelli meno familiari del carnefice. Lo studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution mostra l’altro lato delle zoonosi, le cosiddette “antroponosi”: quasi il doppio dei salti di specie dei virus si verificano dall’uomo agli animali anziché il contrario, rendendo la nostra specie più “untore” che bersaglio. Finora questo fenomeno ha suscitato meno l’attenzione della comunità scientifica, ma le antroponosi rappresentano una minaccia concreta per la salute pubblica.
Gli esseri umani sono sempre stati considerati un bersaglio dei virus piuttosto che una fonte. Circa il 75% delle nuove malattie che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni è stato trasmesso da animali o prodotti di origine animale. Quando questi virus passano dagli animali agli esseri umani possono causare focolai di malattie, epidemie e pandemie come Ebola, influenza o la più recente Covid-19.
La caccia all’untore è iniziata nei primi mesi della pandemia, ma ancora oggi, dopo 4 anni, non è chiaro quale sia stato l’anello di passaggio del virus SARS-CoV-2 dai pipistrelli, serbatoio naturale di vari coronavirus, all’essere umano. La vicenda ha però contribuito a catalizzare l’attenzione sulle enormi ripercussioni delle malattie zoonotiche sulla salute pubblica e a ribadire la necessità di un monitoraggio costante dei virus presenti in natura. La stima è che esisterebbero circa 1.7 milioni di virus ancora sconosciuti in natura, verosimilmente all’interno di serbatoi animali, la metà dei quali potrebbe raggiungere la specie umana e dare inizio a nuove pandemie.
Lo studio della UCL ha analizzato 12 milioni di sequenze di genomi virali depositate nei database pubblici per tracciare i movimenti dei virus tra diverse specie animali. Grazie a questi dati, gli scienziati hanno ricostruito le storie evolutive di 32 famiglie di virus e scoperto quali porzioni genomi virali hanno acquisito mutazioni durante i salti di specie.
In altre parole, l’uomo è un agente attivo nella trasmissione dei virus ad altre specie animali. Ma non così tanto da poter reclamare il ruolo da protagonista: l’81% dei salti di specie presi in considerazione non riguarda affatto gli esseri umani, ma si è verificato da animale ad animale.
Secondo il co-autore dello studio, il Professor Francois Balloux dell’UCL Genetics Institute, «dovremmo considerare gli esseri umani come un nodo in una vasta rete di ospiti che scambiano incessantemente patogeni, piuttosto che un semplice serbatoio per i batteri zoonotici.»
I risultati mostrano anche che la maggior parte dei cambiamenti genetici associati ai salti di specie non ricadono nelle proteine virali che consentono loro di entrare nelle cellule ospiti. Questi dati suggeriscono che l’adattamento di un virus a un nuovo ospite potrebbe essere più complesso di quanto si pensasse in precedenza.
Mentre è risaputo che le zoonosi rappresentano una seria e diffusa minaccia per la salute pubblica, le potenziali ripercussioni delle antroponosi sono più nebulose. Ma come hanno spiegato i ricercatori, è fondamentale considerare la salute umana in stretto rapporto con quella degli ecosistemi circostanti, perché il confine tra le due non è così netto come potremmo pensare.
Il fatto che gli animali contraggano virus dagli esseri umani non comporta danni solo per gli animali stessi, ma «potrebbe avere un impatto sulla sicurezza alimentare, soprattutto se si rendesse necessario abbattere grandi quantità di bestiame per prevenire un’epidemia, come è stato negli ultimi anni per il ceppo di influenza aviaria H5N1». Se un virus trasportato dagli esseri umani infetta una nuova specie animale, inoltre, «questo potrebbe continuare a circolare anche se venisse eradicato tra gli esseri umani, o addirittura evolvere nuovi adattamenti grazie ai quali potrebbe tornare a infettare nuovamente gli esseri umani.»
Virus e batteri hanno sempre avuto la capacità di saltare dagli animali agli esseri umani e viceversa. Ma ora, sembra che i casi di questo fenomeno, noto come “spillover”, siano destinati ad aumentare in modo significativo. Questo incremento è il risultato diretto dei crescenti contatti tra esseri umani e animali selvatici, spesso causati dai cambiamenti climatici, dalla distruzione degli habitat naturali, dalla deforestazione e dalla desertificazione.
La pandemia da Covid-19 e altre malattie zoonotiche fungono da brutale promemoria sulle conseguenze disastrose che possono derivare dall’alterare gli equilibri degli ecosistemi. La speranza è che la ricerca sulle malattie trasmesse tra animali e esseri umani ci aiuterà ad affrontare la “malattia X”, l’ipotetica patologia, ancora sconosciuta, che causerà la prossima pandemia.