Anche il mondo dei dispositivi elettronici per la salute si tinge di verde, grazie alla rivoluzionaria idea di un gruppo di scienziati dell’università del Sussex, che hanno realizzato dei sensori “wearable” con un gel a base di alghe e grafene. Un’alternativa green ai dispositivi classici, che contengono sostanze plastiche e polimeri nemici dell’ambiente.
L’articolo è pubblicato su Sustainable Chemistry and Engineering.
Dispositivi wearable per la salute
I dispositivi wearable o indossabili per monitorare i parametri vitali, come il battito cardiaco o la temperatura, sono uno strumento irrinunciabile per chi pratica sport, ma anche per i pazienti in ospedale o per chi soffre di malattie croniche come il diabete. La maggior parte, però, è composta da polimeri non riciclabili, come la gomma o la plastica, e utilizza solventi potenzialmente pericolosi per l’uomo e per l’ambiente.
Sulla pericolosità delle microplastiche per l’uomo si sa ancora poco, ma potrebbero fermarsi nel fegato, nei reni e nell’intestino causando stress ossidativo, problemi metabolici e processi infiammatori e interferire con il sistema immunitario e il sistema endocrino.
Un’idea da chef per la sostenibilità
Anche il mondo dell’elettronica, quindi, deve adeguarsi ai nuovi standard di sostenibilità, cominciando a usare materiali biocompatibili e biodegradabili.
L’idea delle alghe è venuta al fisico Conor Boland mentre guardava una puntata del noto programma di cucina Masterchef, un passatempo durante il lockdown in piena pandemia Covid-19. Nello show, i concorrenti preparano gustosi manicaretti per sottoporli al giudizio inappellabile di famosi chef o critici gastronomici. Spesso usano ingredienti particolari, come le alghe, che possono essere consumate come condimento di zuppe o nei piatti a base di pesce, ma anche come addensante, al posto della gelatina, per conferire una struttura morbida ed elastica ai dessert.
Un sensore a base di alghe
I ricercatori hanno intuito che potevano sfruttare la morbidezza ed elasticità del gel di alghe per realizzare dei sensori di deformazione o estensimetri come quelli per il monitoraggio cardiaco, che trasformano sollecitazioni meccaniche in impulsi elettrici.
Per trasformare i prodotti a base di alghe in un gel, bisogna immergerli in una soluzione di cloruro di calcio. Il calcio si lega all’alginato di sodio, un sale che viene estratto dalla parete delle alghe brune, formando l’alginato di calcio, un polimero che assorbe l’acqua e si trasforma in un idrogel morbido e spugnoso. I ricercatori hanno prima incorporato in una matrice di alghe un sottile foglio di grafene, che ha la capacità di condurre la corrente elettrica, poi hanno immerso questo foglio nel cloruro di calcio per formare un idrogel ad alta conducibilità elettrica.
Il sensore contiene solo elementi naturali: salgemma, acqua, alghe, combinati col grafene. Può essere applicato come una seconda pelle, o un tatuaggio temporaneo, ed è completamente biodegradabile e quindi rispettoso dell’ambiente.
Il gel di alghe, infatti, ha una bassa rigidità meccanica e misura anche deformazioni minime: è così sensibile che riesce a misurare un oggetto di soli 2 mg, pari a una singola goccia di pioggia, che colpisce la sua superficie.
Amico dell’ambiente e del palato
Ma uno degli aspetti più suggestivi di questi sensori a base di soli elementi naturali è che si possono anche mangiare.
Il sogno di guardare il corpo umano da dentro e intervenire con azioni mirate per ripararlo fa parte del nostro immaginario, come non pensare al celebre romanzo Fantastic Voyage di Asimov, in cui una navetta e un equipaggio miniaturizzati percorrono le intricate vie del corpo umano per rimuovere un embolo. Non è una spedizione che saremo mai in grado di riprodurre nel mondo reale, ma possiamo usare i sensori ingeribili per eseguire immagini diagnostiche del tratto gastro-intestinale e le “pillole intelligenti” per misurare la frequenza cardiaca e il tempo di rilascio dei farmaci.
I sensori commestibili a base di alghe potrebbero essere disponibili già nel prossimo futuro: il prototipo realizzato dai ricercatori ha tutte le carte in regola per essere prodotto su scala industriale. Un’idea nata quasi per caso guardando uno show di cucina.