Cosa ti viene in mente quando pensi al mare? “Acqua”, certo. “Blu”, ovvio.
L’oceano ospita un enorme numero di esseri viventi diversi e tutti in relazione tra di loro. Alcuni stanno più da parte, occupando nicchie ecologiche alquanto singolari, altri invece reggono il peso dell’intero ecosistema. Tra questi troviamo i coralli, anzi no, i coralli giganti!
Ma cosa succede quando il cambiamento climatico minaccia questi grandi giganti gentili?
Siamo andati all’Università degli Studi di Milano Bicocca per chiederlo agli esperti: i coordinatori del progetto Map the Giants.
Abbiamo incontrato due scienziati marini: Luca Fallati, geomorfologo marino, e Simone Montano, ecologo marino, giusto?
Simone Montano: «Esattamente!»
Cosa significa?
Simone Montano: «In pratica studiamo le interazioni che possono avere gli organismi con l’ambiente. Nell’ambito tropicale ci occupiamo di coralli e nello specifico cerchiamo di valutare gli impatti dei cambiamenti climatici rispetto a questo sistema.
Studiamo la biodiversità e quindi chi viene impattato di più e chi meno nell’ecosistema e cerchiamo di trovare strategie nuove per ripristinare i coralli.»
…Che cos’è un corallo?
Simone Montano: «Questa è la domanda apparentemente più semplice ma in realtà la risposta è la meno banale, è una verità di cui non tutti possono essere consapevoli perché “corallo” è un termine molto utilizzato e a volte le persone lo identificano come un qualcosa di duro, una roccia, o comunque un oggetto inanimato… In realtà si tratta di un animale!
Per “corallo” si intendono, nella maggior parte dei casi, quegli animali che concorrono alla costruzione di strutture che si possono vedere anche dal satellite e che sono le scogliere coralline. Sono colonie di organismi il cui elemento base è il polipo.»
Attenzione! PoLIpo, non poLpo! “Polpo” è quello che si mangia in insalata! Quindi ritornando a noi, che cos’è un polipo?
Simone Montano: «Un polipo è l’unità base del corallo e non è altro che un parente veramente stretto della medusa; dovete immaginare la medusa come un organismo planctonico, cioè che viene trasportato dalle correnti. È fatta da un ombrellino, una bocca e di tentacoli.
Sono parenti delle meduse perché anche loro possono in qualche modo urticare, cioè ospitano all’interno dei propri tessuti degli organelli particolari che si chiamano cnidocisti; non sono altro che l’arma di difesa di questi organismi, polipo o meduse che siano. Sono degli aghetti che portano avvolto attorno un filo imbevuto di tossine. Quando vengono stimolati “TAC”! Partono e si infilano nell’epidermide del malcapitato rilasciando la loro tossina. In natura questo è utilizzato come mezzo di difesa o di predazione, nei coralli in realtà viene percepito meno perché non sono così urticanti come alcune meduse.
Quindi il corallo è un’insieme di questi animali che vanno a formare una colonia; nella maggior parte dei casi quando noi stiamo osservando un corallo stiamo osservando in realtà una colonia di tantissimi polipi.»
Veramente affascinante, deve essere un modo di vivere completamente diverso rispetto al nostro e per noi inimmaginabile; anche perché questi coralli non se ne stanno lì da soli, ma vivono assieme a una grande comunità di organismi che sostengono e di cui di fatto sono la colonna portante.
Quindi, il problema sorge nel momento in cui questi coralli cominciano a stare male: quali sono i problemi a cui questi coralli devono far fronte per sopravvivere e cos’è che li sta danneggiando negli ultimi anni?
Simone Montano: «Ad oggi purtroppo stiamo parlando di un ecosistema che non se la passa bene. Sono tantissime le forme di stress e di disturbo che stanno portando i coralli a soffrire, nella maggior parte dei casi si tratta di impatti di origine antropica oppure naturale ma amplificati dall’attività dell’uomo. Possono essere di varia natura e su varia scala, quindi su scala locale (qualche chilometro o qualche centinaio di chilometri) o su scala globale (migliaia di chilometri).
Come impatto diretto dell’uomo possiamo considerare l’inquinamento, oppure ci può essere un impatto diretto nel momento in cui un subacqueo o uno snorkelista nuotando urta un corallo. Tutto questo succede comunemente in tutte le zone turistiche e questo genera dei grandissimi impatti.
Ci sono poi delle malattie che ad oggi, a seguito del cambiamento climatico, aumentano di severità e che sono in grado di creare degli eventi epizootici, quello che noi umani chiameremmo epidemie, sterminando intere porzioni di scogliere coralline.
Infine, abbiamo l’evento veramente importante, quello legato al cambiamento climatico; l’emissione eccessiva di alcuni gas serra porta all’aumento della temperatura media del nostro pianeta e quindi anche all’aumento della temperatura delle acque.»
Più o meno quale temperatura media dovrebbe esserci in quelle zone e quali temperature, invece, sono registrate adesso?
Simone Montano: «Al momento stanno aumentando le temperature medie un po’ ovunque, dipende di quale zona tropicale stiamo parlando.
Nell’area dell’Indo-Pacifico le temperature medie dovrebbero essere attorno ai 28-29°C costanti più o meno nel corso dell’anno. A seguito di questi cambiamenti climatici stanno arrivando delle ondate di calore sempre più frequenti che perdurano sempre più a lungo; quindi, le temperature delle acque superficiali salgono di 1-2°C arrivando quindi a 30-31°C. Poi, a seconda della morfologia dell’area del bacino, possono arrivare anche a 32-33°C ed ecco che in questi casi si verifica un fenomeno devastante per le scogliere coralline che si chiama “coral bleaching”, letteralmente “sbiancamento del corallo”.
Il corallo è in grado di formare delle relazioni molto strette con altri organismi chiamate “relazioni simbiotiche”; una delle relazioni più importanti che esistono nelle scogliere coralline è quella che si verifica tra il polipo e delle alghe unicellulari che noi chiamiamo zooxantelle. Queste vivono all’interno delle cellule del nostro corallo e gli danno colore e nutrimento perché, essendo degli organismi fotosintetici, sfruttano la posizione privilegiata all’interno di una colonia di corallo per catturare la luce e fare la fotosintesi. Di contro, restituiscono al corallo parte dei prodotti del processo fotosintetico, cioè zuccheri e altre sostanze di cui il corallo si nutre. Potremmo anche dire che è come se i coralli avessero i pannelli solari integrati. Le zooxantelle rendono i coralli autosufficienti per quasi la totalità del loro fabbisogno energetico.
Se la situazione, come succede oggigiorno, persiste per giorni, settimane, o magari per qualche mese il corallo muore di fame e in questo caso si verificano i danni più importanti perché, essendo il surriscaldamento delle acque superficiali un fenomeno globale, colpisce migliaia di chilometri di scogliere coralline in tutti gli oceani del mondo, dall’Atlantico all’Indiano, fino al Pacifico, portando alla perdita di uno degli ecosistemi più importanti del nostro pianeta.»
Per far fronte al gravissimo problema del bleaching dei coralli e di tutti gli stress che stanno subendo avete fatto partire il bellissimo progetto “Map the Giants”. In che cosa consiste principalmente questo progetto?
Simone Montano: «Map the Giants è un progetto veramente ambizioso che nasce da un’esigenza.
Sono delle colonie rare, uniche, che custodiscono informazioni preziosissime su quello che è successo nel passato o su come potrebbero essere le scogliere coralline del futuro, proprio perché loro sono tra gli organismi più resistenti che le scogliere coralline abbiano mai visto.»
È come guardare gli anelli di una sequoia!
Simone Montano: «Sì, è proprio come andare a vedere un qualsiasi albero monumentale ad oggi presente sul nostro pianeta. Era un paradosso per noi che lavoriamo in ambienti tropicali da decine di anni pensare che le Maldive, dove noi operiamo, Paese fatto di isole nate dall’accumulo di scheletri di corallo, non sapesse dove fosse il suo corallo più grande! È un po’ come se noi italiani non sapessimo dov’è l’albero più grande del nostro Paese!»
…Anche perché dovrebbe esserci un certo legame affettivo tra questo albero e le persone che ci abitano attorno, perché racconta la storia del luogo dove è cresciuto. Lo stesso vale anche per i coralli giganti.
Simone Montano: «È esattamente per questo motivo che ci siamo resi conto che l’umanità stessa rischiava di perdere delle informazioni importantissime sulla propria storia naturale e che quindi c’era la necessità di scoprire quegli ultimi coralli giganti, sperando che siano in grado di resistere a questo ultimo evento di sbiancamento di massa ed eventualmente a quelli futuri.
Ancora più importante, dobbiamo pensare che abbiamo di fronte le sequoie del mare; quindi, potremmo utilizzarli come nuovi simboli della conservazione per cambiare la narrativa con cui conserviamo e proteggiamo le scogliere colline.»
Luca Fallati, quali sono le tecnologie che utilizzate per mappare questi coralli. In poche parole, come si fa?
Luca Fallati: «Map the Giants è un progetto che parte anche dall’idea di utilizzare la conoscenza dei cittadini, ad esempio dei turisti o degli abitanti della zona, per avere informazioni su dove si trovano questi coralli; quindi, la prima tecnologia che viene utilizzata è quella della citizen Science.»
Che è anche una delle cose che rende veramente unico e interessante questo progetto!
Luca Fallati: «Abbiamo creato un portale sul nostro sito dove tutti quelli che entrano in contatto con un corallo gigante possono aggiungere una posizione GPS e inserire le informazioni relative alla dimensione del corallo, alla profondità a cui si trova e allo stato di salute.
Una volta trovato il corallo lo mappiamo utilizzando dei modelli ad alta risoluzione utilizzando tecnologie di vario tipo: normali fotocamere, immagini satellitari, fotogrammetria subacquea. Quest’ultima consiste nel sovrapporre immagini ottenute fotografando il corallo con una fotocamera subacquea utilizzando software e algoritmi per ricreare un modello tridimensionale del corallo che può essere scalato, permettendo di ricavare misurazioni molto precise. Questo consente anche di registrare uno storico dei coralli giganti osservati che può poi essere aggiornato a seconda di come la colonia evolve nel tempo.
Un’altra metodologia è quella dell’utilizzo dei droni, che sono molto utili soprattutto in una condizione equatoriale come le Maldive dove l’acqua che è molto trasparente. Sorvolando le lagune con i droni abbiamo una visuale più ampia rispetto a quella che si può avere dal tetto di una barca.
Il criterio minimo con il quale un corallo viene classificato come gigante è legato al diametro della colonia, che deve essere maggiore di 5 metri. Ultimamente stanno arrivando moltissime segnalazioni sul nostro sito, principalmente dalla popolazione locale, che sicuramente detiene le maggiori conoscenze in merito.»
Immaginiamo che io sia un sub, un pescatore o un cittadino qualunque e mi imbatta improvvisamente in un corallo gigante. Cosa posso fare per aiutarvi nel nostro progetto?
Luca Fallati: «È molto semplice, abbiamo strutturato il sito web con una sessione dedicata a raccogliere le notifiche di nuovi giganti. C’è un modulo da compilare e non è necessario avere tutte le informazioni sul corallo, anche se ovviamente noi puntiamo ad averne quante più possibile. Sul sito trovate anche una guida che spiega come un normale snorkelista o subacqueo può raccogliere delle foto per creare dei modelli tridimensionali e inviarceli.
Un altro modo per contattarci è attraverso i nostri canali social, per esempio la nostra pagina Instagram. Una volta inserito un nuovo corallo gigante verifichiamo la veridicità della foto, controlliamo che la specie o il genere inserito sia corretto e poi una volta completato questo double check viene aggiunto un punto sulla mappa.
Il progetto è partito alle Maldive e c’è stata una campagna di raccolta fondi che fortunatamente ha avuto molto successo, il ricavato ci permetterà di acquistare della nuova strumentazione, tra cui droni e telecamere, ma anche di organizzare una crociera scientifica nel maggio 2025 con lo scopo di andare fisicamente sott’acqua a vederli con un team di scienziati per studiarli sotto diversi punti di vista. Per questo ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato al crowdfunding!»
Per concludere diamo un po’ di numeri: Simone, quali sono i numeri del progetto “Map the Giants”?
Simone Montano: «Siamo nati da poco ma i numeri sono in crescita e ci stiamo anche allargando!
Inoltre, la cosa interessante è che ci stanno arrivando anche segnalazioni di coralli giganti fatte da persone comuni che sono andate a sbirciare nei propri archivi; quindi, sono segnalazioni di coralli del passato! Abbiamo la segnalazione di un corallo gigante nel Pacifico osservato attorno agli anni ‘80 e ora stiamo cercando di capire se qualcuno possa recarsi in loco e confermare se sia tutt’ora presente. Addirittura, le persone ci hanno segnalato la presenza di altri organismi come spugne giganti!
Infine, abbiamo avuto un riscontro molto positivo a un convegno internazionale che si è svolto a Napoli, l’European Coral Reef Symposium, dove scienziati di tutto il mondo si riuniscono ogni quattro anni per esporre le proprie ricerche sui coralli. Siamo rimasti sorpresi di essere già conosciuti da qualcuno e dopo che abbiamo presentato questi risultati preliminari abbiamo ricevuto un feefeedback positivissimo.»
E con questo si conclude la nostra intervista, grazie mille a Luca & Simone per averci raccontato un po’ della loro storia e all’Università degli Studi di Milano Bicocca per averci ospitate e ospitati!
L’appello che lanciamo è di seguire le attività del progetto Map the Giants e di considerare di entrare a far parte dei suoi ambassador.
Il progetto è molto ambizioso, per arrivare davvero a salvaguardare i coralli giganti del nostro Pianeta serve che si trasformi in un movimento. Più Map the Giants verrà conosciuto e più coralli giganti vareranno scoperti, più questo avverrà e più le persone assumeranno consapevolezza dell’importanza della salvaguardia del pianeta, finché anche “i piani alti” sentiranno la nostra voce!