Il 15 Aprile abbiamo celebrato la Giornata della Ricerca Italiana nel Mondo.
Il Festival delle Scienze di Roma, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma ha realizzato, in collaborazione con Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, una vera e propria maratona scientifica.
I collegamenti sono avvenuti da tutto il mondo: dall’Artico, dall’arsenale di Venezia, dai laboratori del Gran Sasso, al CERN, dall’Etna a Parigi, da Boston alla Florida e Chicago.
Con la manifestazione gli organizzatori dell’evento si pongono un doppio obiettivo: dare risalto alle ricercatrici e ai ricercatori italiani impegnati all’estero in centri di eccellenza e valorizzare l’attività nazionale di ricerca scientifica, mostrandone la potenzialità come attrattore di nuove risorse da tutto il mondo.
Nel pomeriggio, in diretta dal CERN, la Direttrice Generale Fabiola Gianotti è stata intervistata da Marco Cattaneo.
Immagina di lavorare in un posto come nessun altro al mondo.
Da sessant’anni al CERN nascono e si sviluppano progetti di grande complessità tecnologica oltre che concettuale, destinati a incidere profondamente nel progresso tecnologico e scientifico globale.
Gli obiettivi sono ambiziosi e i ricercatori che li perseguono sono tra i migliori al mondo, individualmente e collettivamente, capaci di coordinarsi in una sfida: quella di estendere i limiti della nostra conoscenza.
Sfida che si rinnova continuamente!
Parte integrante e fondante di questa avventura, gli italiani al CERN sono oltre duemila diretti (insieme agli altri quindicimila scienziati, provenienti da più di cento paesi del mondo) da una straordinaria ricercatrice italiana. Eletta nel 2016, Fabiola Gianotti è stata riconfermata Direttrice Generale del CERN nel 2019: prima volta nella storia del CERN di una conferma da direttore generale per un secondo mandato.
Il CERN (Conseil européen pour la recherche nucléaire) è un riferimento internazionale per la ricerca empirica delle particelle, un ambiente di ricerca multiculturale a dir poco, qual è il vantaggio in questo senso per il raggiungimento degli obiettivi?
«Sono molti i vantaggi che provengono da questo ambiente multiculturale: innanzitutto il fatto che
la scienza si basa sulle idee.
E quindi diversi punti di vista, diverse esperienze, diverse culture, diverse informazioni, diversi percorsi contribuiscono a nutrire questo ambiente fertile su cui la scienza si basa.
Molto importante anche il fatto che i progetti portati avanti al CERN sono ambiziosi e importanti, tecnologicamente molto complicati (richiedono numerose risorse), quindi un solo paese e neanche un solo continente potrebbero realizzarli da soli.
Pertanto è fondamentale avere i contributi di risorse e di idee da tutto il pianeta!»
Qual è il contributo di questi oltre duemila scienziati italiani che lavorano agli esperimenti del più grande acceleratore di particelle al mondo? E, una domanda personale, pensa che ci sia stato un vantaggio nella sua carriera per l’aver studiato in Italia?
«Il contributo dell’Italia al CERN è di primissimo piano: un contributo intellettuale attraverso i 2500 ricercatori, un contributo tecnologico e industriale.
Per fare un esempio, l’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’università in partenariato con l’industria, ha progettato e costruito circa un terzo dei magneti superconduttori che hanno permesso di diventare il più grande acceleratore al mondo.
Per quanto mi riguarda, penso che il fatto di essere stata formata in Italia, sia stato veramente decisivo.
Ho avuto la fortuna di frequentare scuole ottime, dalla prima infanzia fino al dottorato incluso, di avere grandi maestre e maestri. E di crescere poi a livello universitario in un ambiente molto fertile, grazie al connubio tra INFN e università che mi ha dato anche la possibilità di venire al CERN molto giovane (al momento della tesi di laurea).
E quindi di assaporare ciò che si prova a fare ricerca in un grande centro come è il CERN.
Inoltre, in Italia, penso che ci sia una cultura molto speciale da parte di tutti i cittadini di interesse verso la fisica delle particelle. Qualcosa che ha radici lontane nella nostra storia, nei Ragazzi di via Panisperna, Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo e tanti altri… E quindi c’è un attenzione anche per la fisica fondamentale che è un po’ speciale e che non troviamo negli altri paesi…»
…Ha appena citato un pezzo della nostra storia, ricordiamo dunque che il CERN è stato fondato più di sessant’anni fa anche anzi soprattutto grazie all’opera di Edoardo Amaldi che fu uno dei maggiori fautori di questo centro internazionale. Tuttora esiste un legame particolarmente stretto con la comunità dei fisici italiani, anche quelli che non lavorano direttamente al CERN (come i ricercatori dell’INFN). A che cosa pensa che si debba questo fenomeno? È la scuola che ha generato l’eccellenza italiana in questo campo?
«Ci sono molti fattori, innanzitutto la scuola. E quasi quasi direi la bottega, questo passarsi le conoscenze di padre in figlio, appunto a partire dai Ragazzi di via Panisperna attraverso poi altri grandissimi scienziati italiani, su cui si è innescato questo meccanismo veramente molto virtuoso che è l’INFN diffuso sul territorio, in stretto partenariato con le università e con l’industria.
Tutto questo ha creato un ecosistema di grandissimo successo che gli altri paesi ci invidiano.
Quindi la cultura, la tradizione e un sistema di organizzazione della ricerca e di collaborazione tra le università e l’ente di ricerca e chiaramente l’industria che funziona molto bene.»
…Facciamo un passo indietro a quando è stato scoperto il bosone di Higgs (nel 2012), lei era portavoce dell’esperimento Atlas che insieme a CMS ha conseguito questo importante risultato. Che cosa provava ad essere stata chiamata a chiudere un capitolo fondamentale della storia della fisica? E che impatto ha avuto la scoperta del bosone di Higgs sulla nostra conoscenza?
«Innanzitutto la scoperta del bosone di Higgs è il risultato del lavoro di migliaia di scienziati di tutto il mondo per decenni, una collaborazione colossale.
Io ho partecipato ovviamente, sono stata anche in prima linea, e ho avuto la fortuna di guidare l’esperimento Atlas proprio nel momento della scoperta.
È stato memorabile, molto emozionante ed entusiasmante… Non c’è niente di più gratificante per un ricercatore di una scoperta e poi che scoperta!
Il bosone di Higgs è una particella davvero speciale, assai diversa dalle altre 16 particelle elementari che erano state scoperte precedentemente.
Una particella elementare è un oggetto indivisibile, molto diverso perché ha caratteristiche molto differenti. In fisica li chiamiamo numeri quantici. È anche portatore di una forza diversa dalle altre particelle elementari e ha avuto un ruolo chiave nella struttura dell’evoluzione dell’universo.
Il bosone di Higgs è legato al meccanismo che ha permesso alla materia di cui noi tutti siamo fatti (e di cui l’universo visibile è fatto) di essere quella che è, di esistere nella maniera in cui esiste.
Ossia permette agli atomi di poter restare insieme: senza il meccanismo di Higgs quindi, se i componenti fondamentali degli atomi che sono gli elettroni e i quark non avessero una massa (e la massa viene data loro dal meccanismo di Higgs), gli atomi non starebbero assieme come sistemi legati e quindi la materia di cui noi siamo fatti non esisterebbe… Noi non esisteremmo, magari esisteremmo in una forma molto esotica e molto strana. E questo meccanismo si è installato nell’universo un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il Big Bang, la grande esplosione che ha dato origine al cosmo.
Pertanto questa è stata una scoperta davvero monumentale ed entusiasmante, ma direi per tutti non solo per noi scienziati.»
…Sì, lo è stata per tutti anche perché siete finiti sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e l’entusiasmo era palpabile! Dopo il bosone di Higgs ci siamo avventurati come genere umano, voi scienziati ma anche tutti noi, in una terra inesplorata perché di lì in poi non si sa cosa ci sia. La ricerca in questi luoghi inesplorati porta sicuramente da una parte lo sviluppo di capacità e tecnologie completamente nuove (che erano inimmaginabili magari anche poco tempo prima) però allo stesso tempo anche la grande responsabilità di dover scegliere quale strada seguire. E qual è la strada che ci sarà nel futuro del CERN?
«Innanzitutto la motivazione che spinge tutti noi, come i nostri colleghi astrofisici che sono intervenuti prima di me: il fatto che oggi esistano questioni aperte di grandissima importanza le quali devono essere risolte. Questioni alle quali, per il momento, non abbiamo risposta.
Una di queste è il Dark Universe, il fatto che il 95% dell’universo è costituito da forme di materia, Dark Material, o da energia, Drak Energy, che non conosciamo.
Questa è una questione che da un lato ci imbarazza un po’, come scienziati! Le persone potrebbero reclamare che dopo millenni di studio e migliaia di nuove invenzioni e il livello di tecnologia raggiunto nonché le tante risorse investite, ancora conosciamo solo il 5% dell’universo… Eh, sì, il cammino è molto difficile ed è molto lungo… Ma anche molto entusiasmante!
C’è ancora molto da imparare e quindi ancora molto da scoprire.
La fisica degli acceleratori, in maniera complementare ad altri approcci come quello dell’astrofisica particellare e di molti altri, può chiaramente contribuire a dare una risposta a queste domande.
Quindi per noi si tratta di sviluppare un acceleratore ancora più potente, con magneti più potenti, con tecnologie di punta che oggi sembrano inarrivabili ma che poi, come è già successo in passato, riusciremo a realizzare. E queste nuove tecnologie permetteranno anche alla società di fare passi da gigante, grazie alle loro varie applicazioni.
Un aspetto molto importante oggi, che non era così pressante trenta anni fa, è che queste tecnologie non soltanto devono essere di punta ma anche sostenibili.
Ne conseguono tutti i problemi di energia e di consumo, l’esigenza di minimizzare l’utilizzo di energia, di riutilizzare l’energia. Le tecnologie che sono environmentally-friendly quindi che rispettano l’ambiente.
Questa è una sfida ulteriore ma apre la porta alla possibilità di applicare le nostre tecnologie alla salvaguardia del pianeta. E quindi un aspetto più interessante da mettere in gioco.»
…Ricordiamo che tra le tante tecnologie di punta che si mettono in atto in questo straordinario laboratorio poi ci sono anche ricadute tecnologiche che finiscono nel nostro quotidiano, basta solo ricordare visto che siamo in streaming il World Wide Web, uscito proprio da una ricerca del CERN come qualcosa che doveva essere uno strumento per scambiare più facilmente informazioni tra ricercatori e oggi si porta addosso tutta la nostra comunicazione multimediale e digitale.
Quali sono i consigli che darebbe a una giovane ricercatrice o a un giovane ricercatore per avviare la propria carriera, dopo il dottorato? Quanto è importante un’esperienza all’estero?
«Non c’è niente di più bello che poter contribuire, nel nostro piccolo, a far progredire le conoscenze dell’umanità.
E non c’è niente di più bello di poter imparare qualcosa ogni giorno.
Questa è veramente l’essenza della ricerca quindi a chi desideri intraprendere l’attività scientifica posso dire solamente che è bellissima, molto entusiasmante. Ma dico anche che bisogna perseguire questi ideali con grande determinazione perché ci sono chiaramente tante difficoltà da superare.
Con grande entusiasmo, con grande umiltà, in quanto appunto ricordo che conosciamo soltanto il 5% dell’universo: siamo un piccolo pianeta in una galassia smisurata. L’umiltà è di dovere!
Un’esperienza all’estero è senz’altro utile e bella, la consiglierei sa tutti poiché permette di uscire dal proprio ambiente familiare, scientificamente parlando, di camminare con le proprie gambe, di apprendere nuovi metodi di ricerca, di vivere nuove esperienze e interfacciarsi con persone nuove.»
Chiaramente poi il paese deve offrire la possibilità a coloro che vogliono tornare di poter tornare e fare ricerca di altissimo livello anche in Italia.
All’inizio del Novecento, Lord William Thomson (noto come Lord Kelvin) diceva che ormai si conosceva già tutto e che la scienza non aveva più nulla da scoprire, tranne definire alcuni dettagli.
Oltre un secolo dopo siamo qui e il 95% dell’universo ci è ancora sconosciuto quindi grazie a Fabiola Gianotti per averci regalato nuove prospettive future e per averci fatto riflettere su questa nuova curiosità che ci deve sempre animare.