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A tu per tu con il fotografo Gabriele Rigon

«My passion is to capture and share the sensual beauty of the female form. The female nude is, for me, nature’s finest gift.

Many people ask me whether I am a romantic when they see my photographs. I take this as a great compliment. It means that I portray women in the right light. I am romantic and in front of such extraordinary beauty I want to create poetry with my camera.»

Nato nel 1961, Gabriele Rigon, oltre ad essere stato un pilota dell’Esercito, è uno dei più autorevoli fotografi della scena italiana.

Cresciuto come fotografo di reportage, da anni si dedica alla fotografia di moda realizzando editoriali pubblicati sulle più autorevoli riviste di fashion sia in Italia che all’estero (da Vogue al New York Times solo per citarne alcune).

Osservando le sue meravigliose opere fotografiche, si assapora una sorta di alchimia: pare che accada qualcosa di magico ove il soggetto, seppur immobile, con lo sguardo e con il corpo che tutt’ad un tratto paiono danzare in un turbinio di movimenti, ci voglia raccontare una storia.

Ed è proprio in questo istante che la fantasia e l’immaginazione prendono possesso della nostra mente e del nostro sangue, regalando una vita a quelle immagini statiche, conferendo un’identità, un carattere ed un perché al soggetto immobile.

Questo è quello che sembra vogliano comunicare le sue fotografie, un’idea di movimento improvviso che rompe la stasi di una finzione irreale per irrompere nella realtà, un connubio di passione e di sensualità che vuol ribellarsi, scoppiare e inebriare lo spettatore.

Fotografia, arte e filosofia

Come e quando è nata la sua passione per la fotografia?

«Indubbiamente la mia passione per la fotografia è stata influenzata in maniera determinante dal nonno materno che è stato uno dei primi fotografi italiani ad avere uno studio. Lui stesso aveva ereditato la professione dal mio bisnonno, il quale già alla fine dell’800 lavorava come fotografo.

Ricordo che giocavo con i contenitori vuoti dei rullini Ferrania, curiosavo tra i segreti della camera oscura, rimanevo affascinato dalla magia della carta sensibile nel momento in cui l’immagine comincia a delinearsi nello sviluppo. La prima volta che mi organizzai la camera oscura a casa mia sapevo già stampare.

La passione per la fotografia non ha una data di nascita, c’è sempre stata, è nata con me, anche se  ho cominciato a scattare fotografie professionali nel 1989 in Africa, in Namibia, con le Nazioni Unite, in qualità di pilota di elicottero.

All’epoca iniziai con il reportage, al glamour e al nudo sono arrivato in un secondo tempo.»

Per Cartesio il dispositivo ottico consentiva di sottrarre il mondo al caos della percezione, mentre per l’uomo del ‘900 l’obiettivo moltiplica lo sguardo soggettivo dice Anna Li Vigni del Sole 24 Ore.

Cos’è per lei la fotografia, e cosa dovrebbe comunicare?

«La fotografia è indubbiamente il sistema di comunicazione più immediato. Ogni giorno visioniamo inconsciamente migliaia di immagini ma è solo su quelle più significative che ci soffermiamo e di queste pochissime ne ricordiamo.

La fotografia è lo strumento di comunicazione più potente e veloce sulla piazza, ne sono testimonianza strumenti social come Instagram, nato inizialmente come diario di immagini di singoli utenti per condividere ricordi, ad oggi la prima piattaforma commerciale di grosse aziende dove l’utilizzo dello stesso viene studiato nei minimi dettagli per raccogliere consenso da parte dei consumatori.

Se questa domanda mi fosse stata fatta quindici anni fa, non avrei mai parlato di un fenomeno che ormai coinvolge miliardi di persone, ma avrei parlato di una nicchia di appassionati che, possedendo una reflex, si professavano fotografi o fotoamatori, per il semplice fatto di amare l’arte fotografica.

Ora parlare di fotografia è diverso, ora tutti fanno fotografie, e questo grazie alla più grande rivoluzione del terzo millennio: l’invenzione degli smartphone.»

Tre aggettivi per descrivere la fotografia

«Reale, perché ogni immagine, anche costruita, è un “frame” di vita reale.

Surreale, perché sebbene sia un frame della realtà possiamo interpretarla con fantasia.

Eterna, perché una foto ferma un attimo e lo rende eterno.»

Qual è la sua filosofia d’autore?

«Sedurre nel senso più ampio del termine significa attrarre a sé. Seduzione è raffinata capacità – non solo erotica – di attrarre, è un magnetismo in grado di sviare altre persone da intenti e distrazioni verso di sé, verso il proprio mondo. Meravigliosa definizione che affascina e fa ricercare in ogni incontro la capacità di sedurre ed essere sedotti.

Ma la seduzione è un concetto di cui molto spesso vediamo dare una visione edonistica e distorta, intesa come manipolazione dell’altro per soddisfare i propri bisogni. Nelle forme di comunicazione più diffuse la seduzione diventa mezzo per ipnotizzare e suggestionare il partner, togliergli ogni volontà o iniziativa, quasi non si fosse più in grado né di innamorarsi né di far innamorare, ed è in questo contesto che la sensualità diventa un terreno di battaglia che sfinisce e stanca più che un porto sicuro dove rifugiarsi dalle tempeste e trovar pace.

Io definisco la seduzione femminile “qualcosa che risveglia i sensi, qualcosa di più del bello della bellezza, è qualcosa di astratto e misterioso”, la considero espressione di intimità, è comunicazione suadente, incantatoria, appena sussurrata, espressione dell’identità profonda di una donna, misura dell’evoluzione interiore che arriva fino alla sfera più delicata delle sensazioni, fino quei livelli più profondi della persona dove sono contenuti anche timori, paure, tabù.

Ed è questa la mia filosofia, riuscire ad indagare il mondo femminile più impalpabile, etereo, puro, incontaminato e fugace. Quel mondo che il tempo di dirlo già non c’è più, ma che nello scatto rimane e si mostra in tutta la sua sorprendente e luminosa armonia.»

Ci sono degli autori in particolare a cui si ispira? Se si quali?

«Sono tanti gli autori a cui mi ispiro, a cominciare dai grandi Maestri della fotografia quali Weston, Avedon, Newton, fino ai fotografi contemporanei come la straordinaria Ellen von Unwerth, Peter Lindbergh, Mario Testino… E poi ci sono gli amici, Giovanni Gastel, Franco Fontana, Settimio Benedusi. Sono tutti fonte di ispirazione, e nelle mie foto c’è qualcosa di tutti loro.»

Quali fotografi di moda pensa possano essere a lei simili e sulla sua stessa linea d’onda?

«Io credo che ogni fotografo abbia un suo stile, sebbene si possa essere accomunati dalla tipologia di foto che uno fa e dai soggetti scelti.

Lavorando maggiormente con la moda ed il ritratto, pur avendo stili diversi, devo dire che il mio obiettivo è avvicinarmi allo stile ed al buon gusto di Giovanni Gastel, che conosco molto bene, e che mi ha insegnato molto, non tanto nella fotografia ma nello stile di vita.»

I tecnicismi

Quali sono gli step di uno shooting: ci racconti uno shooting tipo nelle sue fasi tecniche…

«Un progetto di moda nasce dalla fusione di vari fattori, tutto è finalizzato ad accontentare un cliente.

Spesso si comincia già un mese prima a discutere sul lavoro da effettuare, cominciando a stabilire il prodotto che bisogna pubblicizzare, la location, le modelle e il look, e si propone al cliente un “moodboard” fatto di disegni e idee sul tipo di storia che vogliamo realizzare.

Il tutto si concretizza con lo shooting finale, dove sul set troviamo tutti i protagonisti, ad ognuno il suo ruolo: clienti, modelle, art director, make up artist, hair stylist e noi fotografi, che siamo i responsabili del lavoro finale, l’ultimo elemento del lavoro di un team dove ognuno è fondamentale per raggiungere il risultato finale.»

Che strumentazione utilizza?

«Utilizzo qualsiasi strumento che faccia fotografie, dall’Iphone alla Hasselblad… A volte anche vecchie macchine in pellicola o polaroid. Ma ho realizzato lavori importantissimi anche scattando semplicemente con l’Iphone. Certo, quando uso l’Iphone utilizzo delle applicazioni dedicate per realizzare le foto, e le ritocco con Photoshop.

Se invece ti riferisci allo strumento che utilizzo nella maggior parte dei casi, ebbene utilizzo le Sony mirrorless e nel 90% dei casi un obiettivo 35 mm Carl Zeiss molto luminoso.»

Che lavoro di post-produzione effettua?

«Lavorando nella moda cerco sempre di realizzare lo scatto più preciso e perfetto possibile, in modo che l’utilizzo di Photoshop sia ridotto al minimo, anche se comunque è sempre indispensabile per la pulizia finale delle immagini (come per esempio per l’incarnato delle modelle), per i colori o per il bianco e nero.

Infine, utilizzo un software finale per dare carattere alle immagini ed uniformarle, che generalmente bilancia i contrasti e simula lo stile delle vecchie pellicole.»

Quali soggetti predilige e perché?

«La mia attenzione si rivolge in particolare alla figura femminile, ispiratrice sia di forma, sia di erotismo. Considero il corpo femminile seducente ed irresistibile, forse una delle forme più belle della natura.»

Quali ambientazioni predilige?

«Le location sono aspetti fondamentali nei lavori di moda, e di solito io posso proporre alcune idee, ma la scelta finale è sempre del cliente. Non ho alcuna difficoltà a scattare ovunque, mi capita di scattare in hotel a 5 stelle o in garage, si passa da scatti su spiagge caraibiche a vicoli di Roma in degrado e ogni ambiente ha la sua carica di fascino, insomma mi adatto a tutto!»

Per i miei progetti personali prediligo spazi grandi e sperduti, come spiagge o zone desertiche, quelle che chiamo io “location-non location”.

Ho sempre pensato che le fotografie in bianco e nero aprano e affinino i sensi e che non creino nell’osservatore alcuna nostalgia dei colori mancanti, ma che lascino ancor più sapore fra le labbra, il sapore di scene d’autentica vita reale con un’aurea di elegante raffinatezza.

Fotografia a colori e fotografia in bianco e nero: quale delle due preferisce e perché?

«Nella moda purtroppo il buon 80% delle fotografie sono a colori, ma per il solo fatto che il soggetto principale non è la modella ma l’abito.

Io ho sempre avuto una passione sfrenata per il bianco e nero, per cui il 100% dei miei progetti personali sono in bianco e nero.»

Credo che le foto in bianco e nero siano più vere, più artistiche, e che non tolgano nulla alla realtà perché in verità è il nostro cervello che automaticamente immagina i colori.

Le fotografie spesso sono veri e propri capolavori, autentiche opere d’arte: quali sono i canoni che una foto deve avere perché venga definita un capolavoro?

«È una risposta molto difficile, cerco di dare una mia risposta del tutto personale.

Se si tratta di una foto di reportage l’unicità della foto è data dall’attimo che ritrae qualcosa di eclatante, e mi riferisco a situazioni drammatiche come ad esempio l’attentato alle torri gemelle.

Tutte le foto scattate in quei momenti drammatici sono talmente uniche ed irripetibili che diventano documenti storici, fino a diventare opere d’arte per l’interesse che hanno.

Se si tratta invece di immagini fotografiche di grandi autori, le foto che diventano vere e proprie opere d’arte sono quelle che suscitano l’interesse dei collezionisti in base alla popolarità della foto. Ovviamente parliamo di stampe numerate, con tirature limitate, e con una quotazione da parte delle gallerie d’arte.

Tutte le altre foto, a volte capolavori, hanno un valore in base all’interesse che noi gli attribuiamo.»

Il binomio: la modella e il fotografo

I soggetti da lei preferiti sono le donne, e mi corregga se sbaglio.

Ci spiega da cosa nasce questa passione per il corpo femminile? Cos’ha la donna che un uomo non possiede a livello fotografico?

«Ho iniziato a fotografare le donne per vincere la timidezza: la fotografia è uno strumento straordinario che in pochi attimi crea un rapporto estremamente intimo con qualsiasi soggetto, è un gioco di ruoli tra fotografo e soggetto che permette di capire una persona, di toccare l’anima.

Ovviamente un corpo femminile, per me che sono un uomo, è qualcosa di assolutamente attraente, da svelare… Da interpretare in tutte le sue forme!»

Nelle sue opere d’arte ricorrono spesso tre elementi: donne, acqua e vento. Quale significato hanno questi tre elementi e che cosa vogliono comunicare?

«Per tanti anni ho fotografato in interni, e tutt’ora prediligo ambientazioni che possano essere reali per ritrarre un corpo nudo, ma recentemente sto realizzando molti progetti sul concetto di libertà, di natura e allora trovo interessante lavorare in spazi aperti, con la modella contestualizzata come elemento stesso della natura… E cosa meglio di acqua, terra e aria?»

Predilige fotografare modelle esperte o soggetti comuni senza esperienza nel settore?

«Per me non c’è nessuna differenza, mi concentro sul soggetto e cerco di esaltarne la bellezza.»

Qual è la differenza a livello di performance lavorative tra una modella e una principiante e quali vantaggi ha l’una piuttosto che l’altra?

«Se si tratta di un lavoro commerciale è indispensabile avvalersi di una modella professionista, in quanto conosce l’ambiente, conosce il suo ruolo, ed è più facile da gestire sul set.

Viceversa, se si tratta di un progetto personale, dove il tempo a disposizione è molto di più e non vi è la necessità stringente di accontentare un cliente, avendo il totale controllo delle pose che voglio ottenere, è più facile fotografare soggetti che non hanno esperienze nel settore in quanto tendono a non proporre pose preconfezionate, ma semplicemente seguono maggiormente le mie indicazioni.»

Cos’è una posa e cosa la rende estremamente naturale?

«Sia che la posa sia naturale o innaturale, è uno degli elementi fondamentali di un set. Per un fotografo la composizione della foto è sostanzialmente una stanza vuota, una tela bianca, su cui dipingere le cose che vogliamo immortalare. L’elemento finale è il soggetto, un elemento mobile, reale, vivo, con cui poter creare geometrie flessibili per rendere la foto accattivante.»

Chi possiede un ruolo più attivo tra fotografo e oggetto della fotografia? È certo un lavoro di simbiosi di coppia, ma chi dei due possiede un maggiore potere decisionale?

«Il ruolo più attivo appartiene sicuramente al fotografo. È lui il responsabile finale dello scatto, seppur certo la simbiosi è indispensabile per il risultato finale, ma anche quella, credimi, dipende dalla capacità del fotografo di crearla e mantenerla attiva.»

Qual è il rapporto ideale che deve crearsi tra fotografo e modella perché il risultato sia brillante?

«Io devo sedurre il soggetto, il soggetto deve sedurre me… E insieme dobbiamo sedurre il mondo!»

Cosa i fotografi vorrebbero dai propri soggetti e viceversa?

«Generalmente un fotografo dal proprio soggetto cerca espressività e, in base al tipo di foto che ha in mente, spera di interagire cercando originalità, spontaneità ed una certa scioltezza nella posa.

Il soggetto generalmente deve subire il carisma del fotografo, e le aspettative sono quelle di avere immagini originali e belle esteticamente.»

Quali sono le principali richieste o precisazioni/reazioni dei soggetti a lavoro finito (ossia quando si vedono nelle sue fotografie)?

«Spero sempre di avere un buon consenso da parte del soggetto a lavoro finito, solitamente, prima di pubblicare le foto, chiedo sempre di poterlo fare, e generalmente non ho problemi.»

Quali frasi, quelle che funzionano maggiormente, utilizza, se lo fa, per mettere a proprio agio un soggetto un po’ troppo “rigido”?

«Difficile dire quali frasi funzionano, io credo di avere un buon rapporto con i soggetti, e cerco di caricarli con frasi positive, dimostrando sempre entusiasmo per gli scatti che sto realizzando.

Dico sempre che sul set non si devono dare ordini, bisogna con gentilezza portare il soggetto a fare quello che desideriamo, senza mai alterare il tono della voce ed inoltre, anche se ci rendiamo conto che suggerendo una posa non è ottimale, bisogna scattare lo stesso per non dare la sensazione che non abbiamo idee.»

Qual è, se lo ha mai trovato, un elemento (psicologico o corporeo) che accomuna tutti i soggetti che ha fotografato?

«Probabilmente come elemento corporeo le forme che assume un corpo femminile e parlo di qualsiasi forma, simbolo di femminilità.

Come elemento psicologico senz’altro il senso di vanità, che per noi fotografi è fondamentale per il gioco dei ruoli.»

Quanta autonomia hanno i soggetti delle sue foto nel muoversi e atteggiarsi dinnanzi all’obiettivo? Vengono guidate da lei e, se sì, in che modo?

«Il fotografo, quando ha di fronte un soggetto da fotografare, deve assolutamente dominare il set, ed il soggetto deve farsi dominare! È una questione di ruoli: sono io che devo controllare ogni espressione del soggetto, sono io che devo suggerire la posa o i gesti da fare, e questo è fondamentale.

Nella moda è fondamentale che io riesca a conquistare il soggetto in pochissimo tempo, parliamo di un paio di minuti, dove in questo tempo devo già riuscire ad ottenere quello che voglio dalla modella, che non a caso è una professionista.

Questo perché a volte la modella si deve cambiare anche 25-30 volte, ed il tempo va ottimizzato al massimo per portare a casa il lavoro.

Per altri soggetti si può anche scattare 3-4 ore di seguito, ma il feeling deve essere assolutamente “mantenuto alto”, e questo è compito del fotografo.»

Le esperienze

Quali sono state le esperienze fotografiche per lei più emozionanti, fotografando quale soggetto e in quale ambientazione?

«Direi che ogni esperienza fotografica è emozionante. Non saprei sceglierne una al posto di un’altra. Sicuramente ogni volta che fotografo una modella per un progetto personale, ed è la prima volta che scatto con lei, vi è un meccanismo psicologico affascinante, una sorta di conquista, ovviamente tutto nel rigore della professionalità, rispettando i ruoli e non superando mai i limiti dell’intimità.»

Quali sono le sue maggiori collaborazioni, quali i suoi lavori maggiormente degni di nota?

«Per quanto riguarda il reportage, sicuramente il mio lavoro più esclusivo ed importante sono le centinaia di foto realizzate in undici anni al seguito dell’astronauta Paolo Nespoli durante i suoi addestramenti presso la Nasa o a Starcity in Russia. Ho documentato tutti i momenti più delicati dell’addestramento in ambienti assolutamente esclusivi, rigorosamente in luce naturale, incluse le ore di simulazione all’interno dello Shuttle e della Soyuz. Tali immagini sono state pubblicate ovunque, su libri, riviste di ogni tipo, e ho ceduto i diritti di utilizzo anche alla Nasa.

Per quanto riguarda la moda, ho realizzato innumerevoli campagne e cataloghi per numerose aziende.»

Mi racconti una delle sue esperienze fotografiche più imbarazzanti…

«Ero a Kabul nel 2006, e mi era stato assegnato il compito di ritrarre il presidente Afghano Amid Karzai. Per coordinare tale attività ci sono voluti ben tre giorni, dove ho subito perquisizioni continue ed ho dovuto dormire due notti presso una tenda con le guardie governative del Presidente. Alla fine, mi hanno concesso 30 secondi per fare la foto. Due guardie mi hanno portato davanti a lui al castello senza lasciarmi mai le braccia… Neppure quando ho scattato la foto. Infine, il presidente si è avvicinato e mi ha stretto la mano. La sensazione provata? Mi sentito svuotato da tale esperienza, ma anche tanto soddisfatto per esserci riuscito!»

Mi racconti una delle sue esperienze fotografiche più divertenti?

«Sono amico di Simona Atzori da 18 anni, lei è una straordinaria ballerina e pittrice nata senza braccia, e per lei ho realizzato tutte le copertine dei suoi libri e tantissime foto che lei ha sempre utilizzato per le riviste. Nel 2006 ha danzato in mondovisione durante la cerimonia inaugurale delle “Paraolimpiadi Torino 2006” e ho trascorso una settimana con lei durante le varie prove presso lo stadio olimpico e durante la cerimonia.

È stata un’esperienza unica, indimenticabile, dove ho conosciuto decine di personaggi dello spettacolo, e tutti con la stessa gioia e lo stesso entusiasmo nel sapere che stavano vivendo un’esperienza unica.»

Si è mai rifiutato di fotografare un soggetto e/o una situazione e se sì perché?

«No, non ricordo di aver mai rifiutato di fotografare.»

La seduzione

La seduzione, a volte appena accennata da un seno avvolto fra le mani, a volte più sfacciata, in corpi integralmente nudi che si agitano e si intersecano, è il fulcro della sua fotografia.

Che cos’è per lei la seduzione?

«Quel fascino impalpabile, etereo, quel sottile filo di desiderio che la donna da sempre, consciamente o inconsciamente, suscita nell’uomo, è l’eterno femminino.

A volte, non sempre, anche attraverso un’immagine si riesce a far vibrare le corde più intime dei sentimenti dell’uomo, sta al fotografo, e alla sua sensibilità, rendere eterno quell’attimo fuggente ormai passato, che diviene un presente continuo.

Forma e sostanza di questo eterno femminino, è la dolcezza delle linee, la morbidezza dei contorni del corpo, l’indefinita promessa di intimità degli sguardi, è la capacità di poter instaurare una complicità tra modella e fotografo, fino al raggiungimento di quell’attimo in cui la sublimità del momento si concretizza nell’immagine.»

Cosa scatta in lei nella decisione di immortalare una sensualità più sfacciata piuttosto che una più delicata e pacata: dipende molto dal soggetto?

«Sì, devo dire che dipende dal soggetto che ho di fronte. Parto sempre dal concetto di raccontare la bellezza del soggetto, e in base al carattere della persona scelgo di raccontarla in maniera più erotica o meno, cercando di bilanciare il tutto con buon gusto.»

A che età ha scattato il suo primo nudo e cosa ha provato?

«Il mio primo nudo lo scattai a 34 anni, e ricordo che ero molto più imbarazzato della modella. Quando scatto un soggetto nudo non lo guardo, cerco solo di osservare le forme attraverso la luce ma non mi soffermo sui dettagli del corpo. A volte scopro com’è il corpo della modella solo quando ritocco le foto, e mentre utilizzo Photoshop necessariamente ne scopro i dettagli.»

Qual è il rapporto che si crea tra fotografo e modella? È mai nata una storia d’amore tra una modella e il proprio fotografo?

«No, questo non mi è mai capitato. Sicuramente mi faccio incantare dalla sensualità della modella durante lo shooting, ma questo fa parte del gioco della seduzione che si crea tra soggetto e fotografo, è limitato al tempo dello shooting, e poi necessariamente si torna ad un rapporto professionale dove il rispetto è fondamentale e dove è altrettanto importante mantenere un rapporto di fiducia reciproca che non deve essere mai incrinato.»

Spesso ritrae due donne insieme, è simbolo di un amore omosessuale?

«Mi piace sempre mettere un pizzico di trasgressione in ogni fotografia che faccio, può essere un seno che si intravvede, un gesto lievemente ambiguo… E quando ritraggo due donne insieme a volte mi piace quella lieve ambiguità che può far pensare ad un rapporto omosessuale, ma non in maniera evidente. Dopo anni di battaglie per ottenere la libertà sessuale, va letto come una conquista che non suscita più morbosità.»

La fotografia tra ieri e oggi

Il rapporto tra la fotografia e le altre arti: la fotografia è un’arte, e ha lottato molto per imporsi come tale. Solo gli anni Settanta hanno insegnato al mondo che non è arte solo tutto ciò che è fatto a mano.

Di conseguenza la fotografia è stata posta allo stesso livello della pittura e della scultura e quindi di essere riconosciuta universalmente come arte.

Se dovesse creare un binomio, a quale delle altre arti la assocerebbe per creare una performance d’autore (musica, pittura, scultura…)?

«Sicuramente la fotografia va associata alla pittura, infatti essa nasce per sostituire la pittura. Alla fine dell’ottocento erano i pittori che possedevano gli strumenti fotografici per eseguire ritratti di famiglia accorciando i tempi della pittura.»

La fotografia ieri, la fotografia oggi: un aggettivo per l’una e uno per l’altra…

«Sicuramente la fotografia è la più grande, la più potente invenzione, che ci consente di raccontare la nostra storia e l’evoluzione dell’uomo.

Non a caso nelle redazioni dei giornali più importanti si dice: “No photo, no story”, ovvero se c’è un’immagine a corredo di un evento vale la pena parlarne, altrimenti no.

Ieri e oggi è lo stesso, cambia solo il fatto che oggi, grazie agli smartphone, siamo tutti in grado di raccontare qualcosa in tempo reale.»

La sottile linea che segna il confine tra fotografia e realtà…

«La fotografia è sempre un piccolo scorcio di realtà.»

Oggi vi è un abuso di fotografie, a volte fotografia e mondo reale si intrecciano e si uniformano a tal punto da rendere difficile mantenere netto il confine tra i due mondi.

Possiamo parlare di un vero e proprio “abuso della fotografia”, si tende ad immortalare, spesso sui social, ogni attimo della propria vita.

Cosa ne pensa di questo abuso e qual è la soluzione per ritornare ad un’autenticità della fotografia, ammesso che esista?

«Vorrei citare un testo di Alberto Terrile che dice:

“Con Facebook e Instagram e l’esigenza di postare tutto subito e ancora, ancora, ancora molti se ne fregano, l’importante è apparire e farlo alla velocità della luce. Autorialità presunta per mettersi solo in mostra come aspiranti fotografi, aspiranti modelle, aspiranti poeti, musicisti… Aspiranti ad un disordinato palchetto/balcone sul mondo. È la società dello spettacolo profetizzata da Debord, è il Post-Amici della De Filippi e di anni di televisione sciocca commerciale, è tutto quello che sembra ci stiamo meritando. Dietro alla grande democraticità dei social network e del digitale si annidano fregature e metodi di controllo, l’altra faccia della medaglia. I 5 minuti di fama profetizzati da Warhol si vogliono prolungare pena essere costantemente monitorati.”

Questa è una profonda considerazione che dovrebbe fare riflettere, il fatto che siamo tutti fotografi grazie alla divulgazione degli smartphone ha fatto crescere strumenti come i Social che invitano quotidianamente a svelare i propri segreti, a documentare la propria misera vita privata e renderla pubblica, costruendo di noi stessi quello che vorremmo essere ma non lo siamo, tutto attraverso immagini scattate e postate senza neppure pensare, in cambio di qualche “like” che ci fa sentire protagonisti.

Se da un lato possiamo dire che vi è un abuso di fotografie, dall’altro ti posso garantire che i fotografi non devono sentirsi derubati di qualcosa che prima apparteneva solo a loro.

In realtà il lavoro del fotografo, quello vero, non è intaccato da questi fenomeni, anzi, dovrebbe essere stimolato a creare ancora di più qualcosa di nuovo nel linguaggio della fotografia.

C’è da dire che in generale si è forse persa la vera definizione di buon gusto e di vera estetica delle immagini, per cui è sempre più difficile differenziare le belle immagini da quelle “spazzatura”, ma davvero questo non riguarda chi della fotografia ne ha fatto una passione ed un’arte.»

Ad oggi “siamo tutti fotografi”? è molto più facile scattare delle belle foto rispetto a qualche anno fa, la tecnologia, tra smartphone, Ipad e GoPro, ci aiuta molto rendendo i dispositivi molto user friendly.

La fotografia è morta tra selfie, smartphone e tecnologia a portata di principiante? Cosa ne pensa della fotografia realizzata con gli strumenti a misura di principiante? Pensa sia stata snaturata?

«Oggi i nuovi strumenti “user friendly” hanno reso la fotografia a portata di tutti, io stesso dico che se vogliamo la foto perfetta è inutile scattare in manuale, usare il “P” di “Program” nelle attuali macchinette ci consente di ottenere foto eccellenti, tuttavia bada che non è tanto lo strumento che noi utilizziamo a far la differenza, ma la testa.

Io stesso scatto spesso con un Iphone di ultima generazione, ma lo utilizzo con la testa e la visione di un fotografo, e l’inquadratura la decido io.»

Gabriele Rigon ieri e oggi

Cosa e come è cambiato nel suo modo di fotografare nel corso del tempo?

«Il mio modo di fotografare è sicuramente cambiato, si è evoluto nel tempo, ed io stesso ho modificato il mio modo di scattare e di vedere le cose. Come tutte le arti e gli artisti, è indispensabile evolversi, modificare ogni giorno la propria visione fotografica, e questo mi ha consentito di sperimentare, di sbagliare, di portare avanti la mia passione attraversando gioie e delusioni.

Quello che ho sempre pensato è che un fotografo, come un pittore o un musicista, trova la sua forza di creare nell’eterna insoddisfazione di quello che fa, alla costante ricerca dello scatto perfetto, che non ci sarà mai. Chi invece si fossilizza e si compiace del suo stile, senza variarlo non sarà mai un bravo fotografo.»

Qual è il suo sogno nel cassetto?

«Poter andare in Giappone, a Kyōto, a documentare la vita di una Maiko (un’apprendista geisha).»

Ci dà qualche anticipazione sui suoi futuri progetti?

«Continuerò sicuramente a scattare in analogico alcune modelle per il mio progetto “Freedom”, al fine di realizzare un libro fotografico e biografico che raccolga le migliori foto scattate in analogico negli ultimi tre anni.»

Che consiglio darebbe a chi volesse intraprendere una carriera da fotografo?

«Il suggerimento che mi sento di dare sempre a chi affronta con passione la fotografia è quello di pensare molto di più alle immagini che non alla tecnica.

Un bravo fotografo è capace di realizzare opere d’arte anche con il cellulare, e non è indispensabile avere chissà quali strumenti professionali per fare delle belle fotografie.

È fondamentale studiare le immagini dei grandi fotografi e capire il perché siano diventate immagini importanti. Non ci stancheremo mai di guardare una bella immagine, inoltre possiamo sempre scoprire mille dettagli e studiarne la luce.

Un altro suggerimento che mi sento di dare è di utilizzare il più possibile la luce naturale, ovvero la cosiddetta “luce finestra”.

Bisogna saper vedere le cose che ci circondano, bisogna capire i personaggi che fotografiamo, e se affrontiamo il tema del nudo artistico a maggior ragione bisogna saper instaurare un rapporto di fiducia con la modella, avendo le idee chiare su quello che si vuole.»

Antonella D'Amato
Una giovinezza passata al liceo Classico, tra il profumo delle pagine dei libri di greco e latino; ad oggi una laurea in Comunicazione Spettacolo & Media, e attualmente un Master in Gestione delle Risorse Umane. Fin da piccolissima appassionata di moda e di tutto il suo indotto, lavora da sempre per una casa di moda milanese. Si definisce una donna poliedrica, dall’anima profonda ma dal cuore leggero, in continuo fermento. Amante della scrittura, della psicologia e del canto; le sue passioni riguardano tutto ciò che sia capace di generare conoscenza, emozioni e connessioni. Crede che nella vita il dono più grande di cui far tesoro sia la possibilità di esprimere se stessi, che non sia mai troppo tardi per farlo, e che la scrittura sia uno dei più potenti e meravigliosi mezzi per riuscirci. Si definisce una ”scrittrice tradizionalista”, ancora non troppo convinta di cedere la penna in favore della tastiera. Il suo mantra è una fusione tra due detti di personalità d’epoche diverse: “Always be curious” (Manolo Blahnik, stilista spagnolo) e “Sic itur ad astra” (Virgilio, Eneide).

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