We Are Who We Are. Letteralmente, siamo chi siamo. E ognuno di noi, dopotutto, è tante cose differenti.
Siamo giovani, siamo adulti, siamo donne, siamo uomini, siamo confusi, ligi al dovere, testardi, eccentrici. Siamo umani.
L’umanità, un po’ in tutte le salse, ce la mostra ancora una volta Luca Guadagnino che per quest’occasione sceglie il formato serie tv.
Sappiamo ormai bene che al regista palermitano piace raccontare i giovani, gli adolescenti in particolare. Quelli che sono alle prime armi con se stessi e che si accingono a scoprire chi vogliono essere in futuro.
Questa fase di scoperta, però, non è sempre rose e fiori. Soprattutto se si parla di ragazzi che vivono con i loro genitori in una base militare e che, magari, hanno speso tutta la loro vita in basi del genere, in giro per il mondo.
I personaggi della serie sono tutti americani che vivono in, appunto, una base militare a Chioggia, Italia.
Anche se i protagonisti assoluti sono Fraser e Caitlin, in realtà la storia è assolutamente corale. Da una parte, il gruppo di adolescenti e dall’altra quello dei loro genitori.
Gli otto episodi da cinquanta minuti o più, partono con l’inquadramento di Fraser, un ragazzo che si è appena trasferito dall’America con le due madri. Sin dalle primissime scene che lo vedono protagonista, si comprende come il ragazzo non sia particolarmente contento di essersi allontanato così tanto da casa. Come sia introverso, sempre con le cuffiette a sentire musica e come non si preoccupi di ciò che la gente pensa di quello che fa o dice.
Il rapporto con la madre biologica è forse il rapporto che più andrebbe analizzato però non viene spiegato a fondo. Forse in vista di un maggiore approfondimento con una seconda stagione. Oppure, semplicemente, le ragioni degli schiaffi e degli abbracci che seguono, dei “ti odio” e dei diversi insulti che Fraser rivolge alla madre, sono lasciate all’interpretazione dello spettatore.
Vicina di casa di Fraser è Caitlin, una ragazza alle prese con l’indagare la propria identità, soprattutto in termini di genere. Caitlin, infatti, preferisce vestire come il padre, con cui ha un rapporto stretto, quasi di venerazione. E, ogni tanto, preferisce farsi chiamare Harper.
Fraser e Caitlin diventano amici e iniziano a chiudersi in un mondo tutto loro, dove man mano sono sempre meno inclusi gli altri ragazzi, loro compagni di scuola e di avventure più o meno avventate.
Nel frattempo, anche gli adulti sono alle prese con una riscoperta di se stessi o con qualche sorta di crisi. A significare che, in fin dei conti, non rimaniamo mai gli stessi. Che continuiamo ad interrogarci su chi siamo e che possiamo metterci in discussione a qualunque età.
Nell’intrigo di queste storie, del loro intrecciarsi a livello fisico e mentale, ci sono i paesaggi della laguna veneta, il caldo afoso delle estati italiane, qualche bicicletta e tanta tanta musica. Soprattutto queste cose non possono non farci tornare alla mente Chiamami col tuo nome, il film che ha guadagnato ben quattro nomination agli Oscar. È sicuramente inevitabile fare dei paragoni, poiché il tema portante di entrambe le storie è quello della scoperta di sé e della propria sessualità negli adolescenti.
Avendo maggiore tempo a disposizione, però, in We Are Who We Are Guadagnino ha potuto approfondire il tema, scegliendo di inserirne anche altri.
Ogni personaggio, infatti, ha una particolare caratteristica che permette di affrontare più questioni.
Dai diversi spettri della sessualità, alle prime infatuazioni, al rapporto difficile con i genitori, alla politica, alla guerra, alla religione e alla morte.
Tanti, forse un po’ troppi i temi che giustamente sono presenti, proprio perché i personaggi sono numerosi. Purtroppo, questa leggera dispersione non permette di approfondire ogni tematica come meriterebbe. Lasciando quindi noi spettatori con la curiosità di scoprire cosa si nasconde nel passato dei personaggi.
La serie ha sicuramente dalla sua il fatto che tutti gli episodi siano diretti da Guadagnino, presupposto che non sempre si trova nelle serie. Avendo un solo regista per tutti gli episodi è chiaramente visibile la costanza di stile e quello di Guadagnino è ormai inconfondibile.
Andando avanti con le puntate, però, l’impressione è che la storia sarebbe stata raccontata in modo più coinvolgente in un lungometraggio. O, magari, anche in una serie ma di minor durata. La pecca infatti è che il piccolo schermo raramente si presta ai ritmi lenti e artistici di Guadagnino. Questi sicuramente sono a loro modo apprezzabili, ma non in un prodotto come We Are Who We Are.
L’impressione dello spettatore è quella che il “sodo” sembri non arrivare mai.
O, forse, il vero “sodo” sta proprio nel dilungarsi della vita, nello scoprirsi a poco a poco, nell’allontanarsi e nel riavvicinarsi. Alla fine del giorno, ognuno può interpretarla come meglio preferisce.
Rimane certo il fatto che Guadagnino si confermi ancora una volta un maestro dei piccoli momenti e dei piccoli movimenti. Delle storie che crescono pian piano, così come i propri protagonisti.
Tutto sommato, We Are Who We Are non è una brutta serie, ma forse è un genere di serie a cui non siamo abituati. Un prodotto che sul piccolo schermo non riusciamo ad inquadrare e che, organizzato meglio e tagliato in alcune parti, avrebbe potuto costituire un altro valido film nel repertorio del regista palermitano.