È stata la mano di Dio, diretto da Paolo Sorrentino, è uno tra i film più attesi della settantottesima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Il decimo lungometraggio del regista italiano è un ritratto sincero e autentico di quella che è stata la sua adolescenza, dettata da un dramma e da un dolore che hanno segnato per sempre la sua vita: la perdita dei genitori asfissiati nel sonno da una fuga di monossido di carbonio quando lui era ancora troppo giovane.
Sorrentino ci racconta i legami con la sua famiglia e le sue vicende più intime, alternando toni ironici e drammatici.
Il tentativo è quello di tirare fuori un racconto di formazione cercando di consigliare le future generazioni che, quando si è sul punto di toccare il fondo, può esserci sempre qualcosa a cui guardare per non sprofondare del tutto nel dolore.
La scelta del titolo del film, come ha affermato il regista, riguarda una bellissima metafora che fa riferimento al potere semidivino di Maradona. Quest’ultimo, infatti, oltre alla sua chiassosa e amata Napoli, è l’altro grande protagonista che diventa parte di tutto, influenzando non solo la vita del regista, ma quella di tutti i napoletani.
Con È stata la mano di Dio, Sorrentino si apre completamente al pubblico presentando le sue memorie, condizionate dal sogno cinematografico e dal mito del numero 10 senza mai abbandonare i richiami felliniani caratteristici da sempre del suo cinema.
In questa sua ultima opera non ci fa solo guardare ma si fa guardare, mettendo un po’ da parte la sua potentissima estetica e focalizzandosi di più stavolta sulle emozioni e i sentimenti regalandoci una profonda e commovente esperienza visiva.