Un volto sorridente, dei guantini traforati e un fazzoletto in mano, mentre una serie di fotografi immortalano questo momento tanto unico quanto magico: Anna Magnani alla conferenza stampa del 1956 per celebrare il suo trionfo americano con La rosa tatuata di Daniel Mann, diventando così la prima donna italiana a ricevere un Oscar.
È questa l’immagine manifesto della Festa del Cinema di Roma 2023: «Uno scatto che ha un significato profondo per noi, anche per l’importanza che le donne hanno in questo festival!», ha sottolineato Paola Malanga, direttrice artistica della manifestazione.
«Anna è romana, appartiene all’olimpo del cinema italiano e internazionale, quindi questa scelta non è il segno di un festival che guarda a se stesso, ma che ha piena consapevolezza di quello che è stato e di ciò che sarà…», ha aggiunto Gian Luca Farinelli, presidente della Fondazione Cinema per Roma.
Nel lungo e fitto programma del Rome Film Festival (in cui sono presentate 163 opere provenienti da 29 paesi) c’è infatti una forte presenza femminile, non solo per quanto riguarda la locandina!
Ed è appunto femminile la firma di questo potente film: Pedágio di Carolina Markowicz.
Il Teatro Studio Gianni Borgna, alle ore 15.30, oggi ha ospitato la proiezione di Pedágio, ultimo titolo in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023.
Il secondo film di Carolina Markowicz (autrice del durissimo Charcoal) è ambientato a Cubatão, città sospesa tra il verde della campagna e i fumi della polluzione.
Tra le pieghe della città si muovono Suellen e suo figlio Tiquinho, diciassettenne appassionato di dive classiche, che si riprende mimando le loro canzoni, indossando golfini rosa e circondato di luci stroboscopiche.
Le esibizioni di Tiquinho finiscono on line e Suellen è in imbarazzo, per cui decide di iscrivere il figlio a un seminario di riconversione sessuale.
Surreale e quotidiano, un dramma di tutti i giorni intinto nell’ironia.
Come è nata questa storia? È una risposta alla situazione politica in Brasile negli ultimi anni?
Carolina Markowicz: «Non direi che sia una risposta, ma penso che tutto il mio lavoro sia permeato dall’attuale clima politico. Le cose che sono accadute recentemente nel mio paese sono inimmaginabili!
Quella brasiliana è una società molto conservatrice e omofobica. Negli ultimi anni, abbiamo avuto politici così conservatori da sembrare ridicoli.
Ad esempio, abbiamo avuto un ministro dei diritti umani, ora senatore, che ha affermato che i bambini non dovrebbero giocare con le bambole di Frozen perché Elsa è lesbica. Un altro politico ha affermato pubblicamente che l’ano non dovrebbe essere usato per il sesso perché è “empio”. Abbiamo avuto un ex presidente che una volta disse di preferire un figlio morto piuttosto che gay.
Ecco, nel mio film volevo ritrarre questa bizzarra ossessione per la sessualità delle altre persone.
Sono cresciuta in campagna e niente è peggio che essere gay nel mio paese. In un certo senso, è più accettabile uccidere qualcuno che essere gay. Lo so che è abbastanza folle, ma è diventato lo status quo!»
C’è la tendenza a discutere dei temi sociali in un tono serio e importante. Tu invece preferisci l’umorismo nero e la satira sociale e i tuoi personaggi non sono necessariamente “simpatici”…
«Sì, esatto, non volevo trasformare i miei personaggi in vittime. Ma nemmeno volevo che fossero etichettabili come santi o come mostri. La vita è molto complessa, piena di sfumature, e io volevo portare questa complessità sullo schermo.
Non volevo che il film fosse eccessivamente divertente o esageratamente triste e, di certo, non volevo che la madre apparisse come una santa. Non penso che esista un solo tono possibile per discutere temi così complicati. Se ci pensi, già solo il pensiero di un seminario di riconversione sessuale è ridicolo di per sé!
Semplicemente, mi piaceva l’idea di sottolineare questa assurdità.»
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