Dopo più di due anni dalla prima data prevista di uscita, arriva finalmente in sala Assassinio sul Nilo di Kenneth Branagh, sequel del fortunato Assassinio sull’Orient Express e tratto dal classico di Agatha Christie.
Maestra del mistero, la stessa scrittrice afferma nella prefazione del libro di ritenere questa storia una delle migliori, se non la migliore che abbia mai scritto.
I paesaggi dell’Egitto fanno da cornice perfetta per l’ennesimo mistero che il brillante detective Hercule Poirot deve svelare. Con la storia, i miti, le figure divine che popolano il Paese, l’atmosfera del libro e del film si tinge ancora di più di luci e ombre.
L’adattamento di Kenneth Branagh, in sala dal 10 febbraio, riprende quasi in tutto la classicità dell’opera letteraria e del genere perfezionato dalla Christie. Rispetto ad Assassinio sull’Orient Express, Branagh sembra abbia voluto sperimentare un po’ di più con la messa in scena. Interessanti, da questo punto di vista, le prime sequenze del film che mostrano uno squarcio di passato di Poirot. Queste prime sequenze raccontano, in bianco e nero, l’esperienza del detective come soldato durante la Prima Guerra Mondiale.
Al regista piace utilizzare il bianco e nero, soprattutto se legato al racconto del passato (come succede in Belfast). Viaggiando per una trincea francese, dove Poirot mostra il suo acume anche nella strategia militare, ci sembra quasi di essere ritornati al piano sequenza di 1917. Salvo, poi, trovarci in Egitto e nel mezzo di un caso di omicidio.

Grazie però alle prime scene, scopriamo finalmente il dietro le quinte dei grandi ed iconici baffi di Poirot. Dei baffi che hanno, quindi, un significato non tanto estetico, ma di copertura. Un escamotage, come i tanti che nella sua carriera Poirot ha inventato, ma questa volta usato a sue spese.
Ma, soprattutto, i primi momenti del film ci mostrano un Poirot più intimo, quello che c’era prima, dietro la maschera di detective brillante. Con lui, chi ha sempre visto oltre quella maschera.
Questa premessa assume un certo significato man mano che il film prosegue, quando si inizia a capire quanto l’amore sia un tema centrale anche in questa storia. E quante sfaccettature esso possa assumere, in particolare quelle più negative e ossessive.
Cosa si è disposti a fare per amore? Questo è un po’ il quesito centrale all’interno del film che gode di un eterogeneo gruppo di personaggi.
Se Poirot è il fulcro della storia, tutti i personaggi che gli ruotano attorno, e che lui stesso deve analizzare, diventano multidimensionali grazie alla penna della Christie. Branagh riesce a rendergli giustizia, ingaggiando un cast stellare e talentuoso. Forse in questo film, i personaggi e gli attori che brillano di più sono quelli minori, anche se si tratta effettivamente di un film corale. Se la coppia di sposi che ingaggeranno Poirot, interpretata da Gal Gadot e Armie Hammer, risultano forse più belli che bravi, altri personaggi rubano loro la scena. Una menzione speciale va a Letitia Wright, la quale interpreta Rosalie Ottrbourne, e a Emma Mackey, diventata famosa grazie alla serie “Sex Education” e che qui interpreta Jacqueline de Bellefort, una donna che ama senza limiti e senza scrupoli. Senza menzionare, ovviamente, Annette Bening, madre di Bouc, amico di Poirot che abbiamo già potuto vedere nel film precedente.
Sebbene chiunque sia stato a perpetrare l’assassinio sia abbastanza prevedibile, i colpi di scena non mancano. A significare che potrebbe anche esserci un solo grande colpevole, ma ognuno di noi porta con sé una particolare colpa. Un po’ come a dire che nessuno è veramente innocente. Poirot, quindi, non solo trova l’assassino, ma anche tutti i peccati dei svariati personaggi, in un gioco di disvelamento e collegamenti.

Un grande punto a favore del film è sicuramente la produzione. Tra scenografia e costumi, il comparto tecnico aiuta ad immergere la pellicola perfettamente negli anni in cui è ambientata, tra la Prima Guerra Mondiale e la fine degli anni ‘30. I costumi indossati dalle protagoniste della pellicola dimostrano tutto lo sfarzo e le nuove mode di quegli anni che permettevano alle donne di mostrarsi già più indipendenti e intraprendenti. Inoltre, gli inserti musicali, precisamente di musica blues, cantata dal personaggio di Sophie Okonedo risultano piacevoli non solo per Poirot, ma anche per noi spettatori.
Nonostante Branagh abbia fatto giustizia alla Christie (almeno riprendendo l’atmosfera dei suoi romanzi e qualche battuta), il regista si è preso anche le sue libertà. Sappiamo molto bene che gli adattamenti cinematografici non sono mai in tutto fedeli ai libri. Qualche personaggio scompare, così come qualche motivazione per l’omicidio viene inventata. Nonostante tutto ciò, il film sembra abbia comunque fatto giustizia al romanzo, aggiungendoci un pizzico di modernità.
Assassinio sul Nilo, dunque, non è solo il classico murder mystery. Infatti, si vela di un’interessante riflessione sull’amore e sul cosa noi esseri umani siamo disposti a fare per amore. Che sia in una coppia o tra madre e figlio, ognuno di noi mette in atto l’amore che prova in modo diverso. E se da una parte si riflette sul cosa siamo disposti a fare per amore, dall’altra la riflessione è anche sul cosa si è disposti ad accettare per amore.
Sia che si tratti di un’imperfezione estetica sia di una ragione più profonda.