Una città è tante cose, tante persone, tanti avvenimenti. Belfast è da sempre conosciuta come una città di scontri, ma non è solo questo. Kenneth Branagh ci mostra il lato più vero, più umano di Belfast, come di una qualsiasi città e di una qualsiasi famiglia.
Nel 1969 Buddy è un bambino che ha sempre vissuto a Belfast con la sua famiglia, in un quartiere con case a schiera, dove tutti i vicini si conoscono da una vita, dove si gioca per strada a pallone, ma anche a combattere draghi.
La vita è semplice, ma felice, soprattutto per un bambino della sua età.
Eppure c’è sempre qualcosa che si mette in mezzo. Che siano gli scontri tra cattolici e protestanti o i debiti o la necessità di andare via da Belfast e non fare più ritorno.
Tra le mille incertezze della vita, la famiglia rimane l’unica cosa su cui fare affidamento. E anche quando questa unica certezza sembra vacillare, alla fine del giorno, l’amore riesce a tenere tutti uniti.
Con grazia e dolcezza, Branagh porta sullo schermo un ritratto sincero e realistico di uno squarcio di vita. Che sia il 1969 o il 2021 le difficoltà nel gestire la propria vita, la propria famiglia, cercando di fare tutto nel modo giusto, ci sono sempre. Perché le sfide che gli umani affrontano sono quasi sempre le stesse, soprattutto quelle più quotidiane.
La voglia di vivere una vita in modo degno, di allontanarsi dalla violenza e dall’incomprensione della gente. La voglia di lasciare un futuro migliore per i propri figli. Così, i genitori di Buddy si destreggiano tra le mille difficoltà, litigando, allontanandosi per poi ritrovarsi. Capire che alla fine si sta meglio insieme e che ogni ostacolo diventa più semplice da scavalcare se si resta uniti.
E nelle sfide ed errori quotidiani, non mancano le risate, la gioia di quando ci si riunisce, i balli e la musica. Quel quartiere così familiare diventa un palcoscenico dove gli attori si alternano e poi si riuniscono per le scene corali. E quando si va in un vero teatro o in un cinema, la magia di quei luoghi e delle persone che li abitano fanno tornare tutto a colori.
La scelta del regista di realizzare il film in bianco e nero, salvo alcune scene specifiche, può essere sicuramente riconducibile ad una motivazione estetica. Ma la fotografia ha sempre un ruolo ben preciso e un messaggio che vuole trasmettere.
Anche in questo caso, il bianco e nero incornicia le vicende della famiglia di Buddy proprio come una fotografia d’epoca. Alcune inquadrature e movimenti di macchina chiariscono che il punto di vista è proprio quello di un bambino. Quando il quartiere viene per la prima volta “invaso” da protestanti violenti, la macchina ruota intorno ad un Buddy spaventato e disorientato. E anche noi spettatori ci sentiamo così. Un attimo prima eravamo con Buddy a combattere draghi immaginari con il coperchio di un bidone e l’attimo dopo siamo trascinati nella dura realtà umana.
Allo stesso modo, diverse inquadrature guardano gli adulti che parlano dal basso, proprio come se noi fossimo lo sguardo di Buddy o di un bambino qualsiasi, costretto a guardare gli adulti della situazione in quel modo.
Ma quello che colpisce particolarmente delle scelte compiute da Branagh è la decisione di colorare il teatro e il cinema.
Quando Buddy e la nonna vanno a teatro, solo il palcoscenico e gli attori che recitano sono a colori. Quegli stessi colori che si riflettono sulle lenti spesse della nonna, interpretata magnificamente da Judi Dench.
E, allo stesso modo, il cinema diventa un’esperienza vera e propria, dove le macchina volano e chi guarda sembra volare con essa.
Da una parte, la particolarità dei colori per il cinema e il teatro può essere vista come un omaggio che lo stesso Branagh fa a queste due forme d’arte a cui lui è molto legato (soprattutto il teatro). Dall’altra i colori indicano meraviglia. E quale altra emozione se non questa provano i bambini che per le prime volte si approcciano allo spettacolo del cinema e del teatro?
Con Belfast ricordiamo com’era guardare al mondo quando eravamo piccoli. Com’era innamorarsi per la prima volta ed essere timidi. Com’era seguire chi era più grande di noi, sbirciare le discussioni dei nostri genitori dalla scala di casa.
E possiamo tornare ad essere bambini così bene non solo grazie alla regia di Branagh, ma anche grazie alla splendida performance di Jude Hill, per la prima volta sullo schermo.
A formare la sua famiglia ci sono Caitriona Balfe e Jamie Dornan nei panni dei genitori e Judi Dench con Ciàran Hinds in quelli dei nonni. Tutti regalano delle interpretazioni profondamente sincere e commoventi sia nei momenti più difficili, che in quelli più spensierati.
L’ultima fatica di Kenneth Branagh è dunque un film per tutta la famiglia, ricco di risate, di momenti commoventi e di realtà. Una storia popolare, raccontata con stile e delicatezza, così come è delicato lo sguardo infantile. Un vero gioiellino del cinema che rinasce dopo la pandemia e un vero piacere per gli occhi e per il cuore.