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Diabete: autotrapianto di staminali ripristina la produzione di insulina

Sono circa 1000 le iniezioni di insulina che un paziente con diabete di tipo I deve somministrarsi ogni anno, in media dalle 2 alle 4 al giorno, per tutta la vita. Questa routine è necessaria perché il sistema immunitario dei pazienti distrugge le cellule del pancreas, responsabili della produzione di insulina.

A livello globale, sono circa 9 milioni le persone che soffrono di diabete di tipo 1 (una frazione significativa dei 537 milioni che vivono con il diabete in generale) e quasi 30 milioni le prescrizioni di insulina emesse ogni anno.

Ma come cambierebbe la vita di questi pazienti se fosse possibile ridurre o eliminare completamente la necessità delle iniezioni quotidiane?

Nel giugno 2023, per la prima volta un team di medici in Cina ha iniettato circa 1,5 milioni di cellule produttrici di insulina, derivate dalle sue stesse cellule staminali, nei muscoli addominali di una paziente. Queste, riprogrammate in laboratorio per produrre insulina, hanno permesso di ripristinare la capacità del pancreas di produrre insulina autonomamente.

Dopo appena due mesi e mezzo dal trapianto, la paziente è riuscita a interrompere l’uso dell’insulina iniettata, invertendo un diabete che l’aveva accompagnata per oltre 12 anni. I risultati di questo pionieristico studio, unico al mondo, sono stati pubblicati su Cell.

Vivere con il diabete di tipo 1

“Tutti i giorni, per tutta la vita”. Non è una promessa d’amore, ma la relazione ugualmente duratura tra un paziente diabetico e l’insulina: una costante indispensabile per la sopravvivenza e il controllo della malattia. I pazienti dipendono da iniezioni quotidiane di insulina per mantenere i livelli di glucosio nel sangue entro un intervallo sicuro, perché il loro pancreas non la produce autonomamente.

Prima della scoperta dell’insulina, la sopravvivenza dopo la diagnosi di diabete di tipo 1 era estremamente breve: il 50% dei pazienti moriva entro 20 mesi dalla diagnosi, e solo il 10% sopravviveva a 5 anni. L’introduzione della terapia insulinica ha rivoluzionato la gestione della malattia, tanto che a metà del secolo scorso l’aspettativa di vita era solo 20 anni inferiore a quella di una persona sana. Oggi questa differenza è ancora più bassa: il diabete di tipo 1 ruba “solo” una decina di anni di vita e la maggior parte delle persone vive fino a 50 anni dopo la diagnosi.

Ma il diabete rappresenta ancora una delle sfide maggiori nel campo della medicina moderna. L’aderenza terapeutica, per esempio, resta una questione critica e complessa, con circa il 30-40% dei pazienti che non raggiunge gli obiettivi di controllo glicemico raccomandati. Questo li espone a un rischio maggiore di complicazioni a lungo termine, come danni renali, neuropatie e patologie cardiovascolari.

Diabete di tipo 1 e trapianto di isole pancreatiche

I pazienti hanno bisogno di iniettarsi l’insulina tutti i giorni perché il loro sistema immunitario distrugge le cellule del pancreas deputate alla produzione di questo ormone, che è fondamentale per il controllo glicemico. Ma se il pancreas riacquistasse la capacità di produrre insulina autonomamente, le iniezioni non sarebbero più necessarie. Questo è il principio su cui si fonda il trapianto di isole pancreatiche, aggregati di cellule disseminati nel pancreas che producono insulina.

Normalmente, le isole pancreatiche vengono prelevate da donatori deceduti e impiantate nel paziente, dopo una terapia immunosoppressiva (perché, come tutti i trapianti, anche questo potrebbe causare una reazione di rigetto). Questi farmaci possono causare effetti collaterali potenzialmente gravi, che uniti alla disponibilità limitata dei donatori rendono questa opzione poco sostenibile per una larga parte della popolazione diabetica.

L’autotrapianto elimina quasi completamente il rischio di rigetto, perché le cellule sono prelevate dal paziente stesso e non da un donatore esterno. Si può scegliere di percorrere questa opzione, ad esempio, quando il paziente deve sottoporsi a resezione totale del pancreas a causa di tumori o altre patologie. Durante l’intervento, il chirurgo può decidere di isolare le cellule beta pancreatiche e re-infonderle nel paziente attraverso il circolo sanguigno che porta al fegato, prevenendo l’insorgenza del diabete post-operatorio e garantendo una migliore qualità della vita a lungo termine.

Rigenerare il pancreas con le staminali

Il caso pubblicato su Cell da un team di medici in Cina è il primo al mondo in cui le cellule staminali di una paziente diabetica sono state modificate in laboratorio per produrre insulina e poi trapiantate nella paziente stessa.

Per più di due decenni, le scienziate e gli scienziati hanno cercato di riprogrammare cellule adulte per riportarle a allo stato iniziale di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), in grado di differenziarsi in cellule produttrici di insulina. Il prodotto finale, però, non rispecchia mai del tutto le caratteristiche delle vere isole pancreatiche.

Il team di ricerca cinese, anziché usare le proteine per riprogrammare le cellule adulte, come nei protocolli standard, ha sfruttato l’azione di “piccole molecole” (small molecules) che permettono di ottenere un controllo più preciso nel processo di riprogrammazione. Questa tecnica è stata testata con successo nei modelli animali, inclusi topi e primati non umani: i risultati hanno permesso di avviare uno studio clinico di Fase I, che per il momento ha visto arruolati 3 pazienti.

Il primo autotrapianto di isole pancreatiche

Una di questi è la giovane donna di 26 anni il cui caso è descritto nell’articolo su Cell. La paziente ha ricevuto la diagnosi di diabete all’età di 14 anni e un primo trapianto di pancreas che però è stato successivamente rimosso per gravi complicazioni.

Dopo appena due mesi e mezzo dall’autotrapianto delle isole pancreatiche, la paziente è riuscita a interrompere l’uso dell’insulina iniettata, invertendo un diabete che l’aveva accompagnata per oltre 12 anni. Quattro mesi dopo l’intervento, il corpo della donna era ancora in grado di mantenere i livelli di glucosio nel sangue in un intervallo sicuro per più del 98% del tempo, grazie alla produzione autonoma di insulina.

Il trapianto ha funzionato senza l’ausilio della terapia immunosoppressiva, ma poiché i pazienti soffrono di una condizione autoimmune saranno necessari ulteriori studi su un numero maggiore di pazienti per valutare con certezza se il sistema immunitario non riconosca anche queste cellule come estranee. In questo caso, infatti, bisognerebbe studiare delle strategie per mascherare le cellule trapiantate al sistema immunitario.

Nel frattempo, però, se la paziente continuerà a produrre insulina naturalmente nei prossimi anni, potrebbe essere dichiarata “guarita”, segnando il primo successo documentato di questo tipo nella letteratura scientifica.

Cover Foto di Sweet Life su Unsplash.

Erika Salvatori
Erika Salvatori è una ricercatrice in immunoncologia e una science writer freelance. Con una laurea in Biotecnologie e un Master in Giornalismo Scientifico, è riuscita a coniugare le sue due più grandi passioni: la scienza e la scrittura. La sua attività di ricercatrice la porta a toccare con mano lo sconfinato mondo delle terapie biotecnologiche avanzate e della medicina personalizzata. La giornalista che è in lei non vede l'ora di raccontare quello che impara ogni giorno sul futuro della scienza e della medicina.

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