Le colture cellulari hanno segnato un cambiamento epocale nella ricerca degli ultimi decenni. Sono il modello in vitro per eccellenza per testare un farmaco o una molecola in laboratorio, in un modello semplificato, controllabile ed economico, e in presenza di condizioni fisiologiche artificiali.
I test sui modelli cellulari sono il primo passo dell’iter di sperimentazione che porterà il candidato farmaco dal bancone del laboratorio al letto del paziente.
Gli studi in vivo sugli animali da laboratorio rappresentano la fase successiva e permettono di studiare gli effetti di natura sistemica che coinvolgono più organi e apparati. Hanno però un costo maggiore, più problemi etici e un minore controllo delle condizioni ambientali, che può portare a risultati più variabili.
Per questo la ricerca sui modelli cellulari è ancora fondamentale e ha portato negli anni a un miglioramento dei terreni e delle condizioni di coltura, degli strumenti e delle tecniche microscopiche. Oggi, ad esempio, alle classiche colture bidimensionali, si sono affiancati i nuovi modelli cellulari in 3D, più affidabili perché riproducono in miniatura l’organo reale. Un’altra importante innovazione è stata imparare a dirigere il differenziamento delle cellule staminali, ancora immature, verso una linea desiderata: una base per nuovi trattamenti che potrebbero curare malattie gravi o infortuni. Gli utilizzi e le potenzialità delle colture cellulari sono quindi molto varie e di grande successo nella ricerca scientifica.
Storia delle colture cellulari
I primi esperimenti per far crescere in laboratorio delle cellule viventi risalgono a fine Ottocento, ma con risultati poco soddisfacenti. All’epoca molti scienziati ritenevano impossibile far sopravvivere un tessuto fuori dal corpo.
Fondamentale fu il contributo di Ross G. Harrison, biologo statunitense che per primo nel 1907 mise a punto una tecnica riproducibile per la coltura dei tessuti fuori dall’organismo, e del chirurgo francese Alexis Carrel, che nel 1912 mise in coltura un frammento di cuore di pollo e osservò le cellule continuare a contrarsi, come se fossero state ancora dentro l’organismo.
A metà del XX secolo, un risultato epocale segnò il passaggio dalle “colture di tessuti” alle colture di cellule vere e proprie. Nel 1951 George Otto Gey , biologo cellulare al John Hopkins Hospital, generò la prima linea cellulare in coltura continua (capace di crescere indefinitamente). Gey aveva prelevato un frammento del carcinoma uterino di una sua paziente, Henrietta Lacks (da cui il nome della linea cellulare, HeLa), senza peraltro chiederle il consenso, che oggi (al contrario di allora) è obbligatorio per qualsiasi prelievo e utilizzo di materiale biologico dai pazienti.
Le cellule furono messe in una provetta con dei pezzetti di sangue di pollo coagulato e poi trasferite in un incubatore per colture cellulari.
Dopo due giorni, gli scienziati notarono che attorno al sangue di pollo si era formato un anello bianco, segno che le cellule stavano crescendo. Il loro numero raddoppiava ogni 24 ore e in poco tempo furono milioni.
Ancora oggi sono spedite e commercializzate nei laboratorio di tutto il mondo e sono state le protagoniste della ricerca biomedica degli ultimi decenni: dal vaccino contro la polio agli studi su cancro, clonazione e fecondazione in vitro.
Le linee cellulari continue
Oggi le HeLa sono in buona compagnia: esistono almeno altre 4000 linee cellulari umane e animali “immortalizzate”, ossia capaci di moltiplicarsi in maniera indefinita senza andare incontro a senescenza o morte. Possono essere cresciute in sospensione all’interno di beute in agitazione costante (es.cellule del sistema immunitario) o come un monostrato in 2D che aderisce alla superficie del recipiente di coltura (es. cellule epiteliali o endoteliali).
Molte di queste cellule hanno origine da tumori come le HeLa, altre hanno subito una modificazione genetica o una trasformazione con agenti chimici e biologici grazie alla quale possono riprodursi all’infinito, se adeguatamente nutrite e tenute al caldo. Le cellule normali, invece, possono moltiplicarsi solo un numero limitato di volte, tra le 40 e le 60, e fuori dall’organismo muoiono dopo pochi giorni.
Le linee cellulari continue, quindi, sono state una vera rivoluzione per la biologia. Ma come tutte le cellule hanno bisogno di nutrienti e di specifiche condizioni di umidità e temperatura per proliferare.
Di cosa ha bisogno una coltura cellulare?
Una coltura cellulare richiede almeno tre elementi: un recipiente adatto (piastre, capsule, fiasche, beute), un terreno di coltura per fornire i nutrienti necessari e un incubatore a CO2. Per manipolare le cellule, i ricercatori hanno bisogno anche di una cappa biologica o cappa a flusso laminare, che permette di operare in condizioni di sterilità, una centrifuga e un microscopio.
Terreni di coltura
I terreni di coltura per cellule contengono nutrienti e fattori di crescita. I primi biologi cellulari erano quasi degli “alchimisti”: all’epoca non si conoscevano ancora con precisione i nutrienti che servono alle cellule per proliferare, ma si procedeva per tentativi, aggiungendo o togliendo ingredienti alla ricerca dell’equilibrio perfetto. Questi primi rudimentali terreni contenevano sostanze dall’elevato potere nutrizionale, come plasma di pollo, feti di vitello omogenizzati, sangue del cordone ombelicale umano e sali particolari. Ma il primo terreno a composizione definita, usato ancora oggi, fu quello creato da Harry Eagle nel 1955, il BME o Eagle’s Basal Medium. Eagle scoprì anche che il siero è uno dei componenti essenziali per la crescita delle cellule, perché è ricco di fattori di crescita.
Oggi sono disponibili numerosi terreni per le colture: MEM, DMEM, RPMI-1640, Ham F-10, etc. Alcuni sono più ricchi di nutrienti e contengono fattori di crescita purificati, altri richiedono invece l’aggiunta del siero, normalmente in una percentuale che va dal 2 al 20%. Tutti i terreni contengono un agente tampone (es. HEPES o bicarbonato), vitamine e sali minerali, amminoacidi e nutrienti essenziali per cellule, fattori di crescita generici o specifici per tipo cellulare e spesso anche antibiotici per scongiurare eventuali contaminazioni batteriche. Contengono anche il rosso fenolo, un indicatore di pH che vira al giallo quando scende, 7.4.
Incubatori a CO2
Gli incubatori servono a ricreare condizioni di temperatura, pressione e umidità il più vicine possibili a quelle fisiologiche. Sono formati da un compartimento in acciaio inox completamente isolato dall’esterno da una doppia porta, per ridurre il rischio di contaminazioni e mantenere un’atmosfera costante.
La maggior parte delle linee cellulari necessita di incubatori a CO2, che permettono di regolare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, solitamente al 5% (il 95% è composto da aria). Questo valore corrisponde alla pressione parziale di CO2 media nei tessuti, che è compresa tra il 4,6% e il 5,9%, e contrasta l’acidificazione del terreno di coltura per il metabolismo cellulare. Eventuali oscillazioni potrebbero causare modifiche nel pH della coltura, che è il risultato di un equilibrio delicato tra l’anidride carbonica disciolta nel mezzo e quella presente in atmosfera.
L’incubatore ha anche la funzioni di mantenere costanti la temperatura, l’umidità e la pressione parziale di ossigeno.
Temperatura e umidità costanti
Per la maggior parte delle colture cellulari, la temperatura viene regolata a 37°C con una umidità di circa il 95%, che viene raggiunta riempiendo il fondo dell’incubatore con acqua sterile. L’umidità impedisce ai terreni di evaporare e protegge le cellule da eventuali variazioni nell’osmolarità del mezzo di coltura, ossia il numero di molecole disciolte in un certo volume di liquido rimane sempre costante e corrisponde all’osmolarità fisiologica. Linee cellulari specifiche potrebbero richiedere condizioni di temperatura, umidità e pH diverse: le cellule di insetto, ad esempio, crescono a un pH di 6,2; le colture di insetti, pesci o anfibi hanno bisogno di temperature più basse, comprese tra 25 e 28 °C.
Normossia, ipossia e iperossia
L’incubatore consente anche di regolare la pressione parziale di ossigeno e simulare condizioni fisiologiche adeguate per ogni tipo di coltura. Nell’aria, la concentrazione di questo gas è pari al 21% e questa è il valore normalmente in uso nei laboratori, che definisce condizioni di “normossia”. Diverse linee cellulari, però, richiedono concentrazioni di ossigeno inferiori (ipossia) o superiori (iperossia) rispetto al valore normale. Condizioni ipossiche sono ideali, ad esempio, per la crescita di tessuto adiposo o midollo osseo, mentre tessuti come i polmoni o la retina necessitano di condizioni iperossiche (21-90% di ossigeno). In alcuni casi, i ricercatori potrebbero aver bisogno di mantenre le cellule in un ambiente completamente anossico, ossia privo di ossigeno. Le superfici di alcune mucose o le regioni interne di un tumore solido, ad esempio, crescono in totale assenza di ossigeno. È possibile riprodurre queste condizioni anche in vitro, in particolari stazioni di lavoro anaerobiche, facendo attenzione a non introdurre ossigeno nel sistema, neanche attraverso i terreni di colture, le pipette o i recipienti.