Noi umani cerchiamo da sempre di parlare con altre specie animali, di trovare finalmente un modo per decodificare il loro linguaggio, capire cosa vogliono oppure riconoscere dei segnali di malessere.
Questo desiderio ha radici lontane nella storia dell’umanità e ha dato origine a molti personaggi di fantasia, tra cui uno dei più noti è il dottor Dolittle: il medico che scopre di avere il potere di parlare con gli animali.
Dalla fantasia siamo passati alla realtà e abbiamo realmente provato a parlare con gli animali, in modi diversi e, in alcuni casi, davvero peculiari.
Per raggiungere questo scopo, l’approccio adottato in passato è stato prevalentemente di tipo antropocentrico, ovvero si partiva dalle nostre capacità e caratteristiche comunicative per insegnare ad altre specie animali (come primati e uccelli) a parlare come noi. Per esempio, sono celebri gli esperimenti mediante l’uso della lingua dei segni o dei lessigrammi (disegni geometrici a cui corrisponde una parola).
Una delle domande a cui si tentava di rispondere era, infatti, non solo se altre specie animali fossero in grado di parlare con noi ma soprattutto se potessero imparare a farlo come noi.
Da questi esperimenti sono emersi degli aspetti interessanti e anche dei particolari casi studio, come quelli del bonobo Kanzi o dello scimpanzè Washoe. Ciò che è emerso negli anni successivi era, però, che questi esperimenti si basavano su un modello umano. Una visione che, invece, negli ultimi anni ha lasciato il posto ad un’analisi del comportamento animale incentrata sulle differenze di specie e sulla complessità dei linguaggi comunicativi naturali.
Per comprendere quest’ultimi non solo la nostra ma anche l’intelligenza artificiale ci può venire in aiuto.
Infatti, grazie alla combinazione tra intelligenza artificiale e bioacustica digitale, da anni ormai, i ricercatori e le ricercatrici stanno esplorando nuove frontiere della ricerca sulla comunicazione animale, per esempio catalogando suoni differenti in relazione alla specie e al contesto in cui vengono prodotti.
Oggi il maggiore interesse non sta nel capire se possono parlare come noi ma nel decifrare cosa dicono gli animali tra loro e, in qualche modo, tradurlo in una forma di linguaggio umano, qualcosa che possiamo comprendere.
Questo significa che avremo una sorta di traduttore tra specie animali diverse?
Non proprio. Dobbiamo, infatti, considerare alcune limitazioni legate all’idea che l’intelligenza artificiale ci consenta di tradurre quello che stanno comunicando altre specie animali e di rispondergli in modo appropriato.
Infatti, per delineare gli ostacoli in questa “sfida del Dottor Dolittle” (Yovel e Rechavi, 2023), ci sono diversi aspetti legati proprio allo studio del comportamento animale che è importante tener presenti:
- Il significato. Tendiamo a dare per scontato che ciò che si dicono altri animali debba avere un particolare significato anche per noi. Ci sono mondi percettivi lontani da ciò che riusciamo anche solo ad immaginare. Ogni animale vede, sente e risponde agli stimoli dell’ambiente in cui si trova in relazione alle sue caratteristiche di specie. Le modalità comunicative di molte specie ci sono precluse proprio sulla base di queste differenze.
- Gli altri comportamenti. Se pensiamo ad una sorta di traduttore vocale, dobbiamo considerare che altre specie, come noi, comunicano attraverso più canali sensoriali combinati insieme. Trascurare gli aspetti legati ai movimenti, alle posture, ai gesti, agli odori, può rappresentare un ostacolo allo studio del loro comportamento e alla comunicazione con noi.
- Il contesto. Ogni valutazione etologica è legata ad uno specifico contesto in cui quei comportamenti vengono osservati. Generalizzare a contesti differenti può indurre ad errori interpretativi.
Tuttavia, c’è chi ha già provato a parlare con gli animali attraverso la tecnologia.
Uno tra gli esperimenti più interessanti, in cui sono stati combinati ingegneria e studio della comunicazione animale, riguarda un robot che, nel 2018 mediante una specifica programmazione, fu in grado di “parlare” a delle api, reclutandole e dando loro indicazioni per volare verso un punto specifico. Un caso in cui non solo una macchina ha comunicato qualcosa, ma in cui c’è stata anche una specifica risposta comportamentale da parte degli animali.
Nonostante questo straordinario risultato, la ricerca in questione ci pone davanti ad uno dei limiti sopra riportati: il contesto. Questo rappresenta una delle domande chiave della “sfida del Dottor Dolittle”:
“Riusciremo a comunicare in modo simile con altri animali, usando quindi un loro linguaggio, nei vari contesti comportamentali tipici di quella specie?”. La domanda resta aperta.
Quello che serve all’intelligenza artificiale per parlare con gli animali, ad oggi, sembra allontanare il sogno umano di chiacchierare con il proprio gatto.
Ma c’è una bella notizia.
Già adesso studiare e comunicare ciò che viene scoperto sul comportamento animale ci consente di indagare varie modalità che abbiamo per “parlare” anche con i nostri animali domestici, per comprendere i loro bisogni e analizzare i perché di ciò che fanno.