A metà tra naturale e artificiale: un’idea rubata alla fantascienza diventa realtà, in uno studio pubblicato su Science Advances da un gruppo dell’università della California. I ricercatori hanno generato in laboratorio un nuovo tipo di cellule “quasi vive” trasformando un comune ceppo di batteri con un polimero sintetico. Queste “cellule cyborg” non possono duplicarsi, ma in compenso sono straordinariamente resistenti, tanto che riescono ad attraversare l’ambiente ostile dei tumori per somministrare farmaci o distruggere le cellule malate.
L’alba dei “farmaci viventi”
Tra le terapie più avanzate di cui disponiamo oggi, molte sono “vive”. È la nuova frontiera della medicina, che oltre ai farmaci classici prodotti per sintesi chimica, adesso può contare anche su una nuova classe di agenti terapeutici: non molecole, ma cellule vive, riprogrammate in laboratorio o modificare geneticamente per curare malattie o rigenerare i tessuti.
Le terapie cellulari hanno completamente rivoluzionato il settore oncologico. Una grande novità sono stati i CAR-T, cellule immunitarie estratte dal sangue del paziente, modificate per riconoscere e distruggere le sue cellule tumorali, e poi re-infuse nell’organismo. Nella medicina rigenerativa, invece, sono state le cellule staminali a conquistare la scena, grazie alla loro la capacità unica di autorinnovarsi e differenziarsi in una vasta gamma di cellule più specializzate per colonizzare e sostituire i tessuti danneggiati. Le cellule sono anche un vettore per il trasporto di farmaci o di geni all’interno dell’organismo e uno dei componenti principali di alcuni tipi di vaccini.
Un’alternativa: cellule artificiali
Queste terapie di nuova generazione, come qualunque essere vivente, sono versatili e in grado di adattare il loro comportamento agli stimoli che arrivano dal mondo esterno. Allo stesso tempo, però, richiedono strategie particolari per il loro biocontenimento, poiché al contrario dei farmaci prodotti per sintesi chimica, replicano autonomamente. Ad esempio, la versione 2.0 dei CAR-T contiene anche un “gene suicida”, un interruttore che può essere attivato in ogni momento per uccidere le cellule che proliferano in maniera incontrollata.
Queste pseudocellule mantengono alcune funzioni delle controparti reali, ma non sono “vive”. Infatti, non replicano e sono più facili da controllare: possono trasportare farmaci, comunicare con altre cellule, attivare una risposta immunitaria contro i tumori e persino fare la fotosintesi.
La nuova era delle cellule cyborg
Un gruppo del dipartimento di ingegneria biomedica dell’università della California ha intrapreso una terza strada, spingendosi al confine della vita e creando qualcosa che è a metà tra una cellula vivente e una artificiale.
Gli esperimenti hanno dimostrato che i batteri cyborg mantengono un’attività metabolica fino a tre giorni (che equivalgono a 150 divisioni cellulari per i batteri naturali). Hanno valutato anche altri parametri, come la fluidità della membrana, la motilità e l’espressione di proteine: i risultati sono stati paragonabili a quelli delle cellule vive.
Terapie contro il cancro (e non solo)
I ricercatori hanno testato i loro batteri come veicoli per il trasporto dei farmaci nei tumori. L’idea non è nuova, anzi, la biologia sintetica già permette di ingegnerizzare i batteri per colonizzare il tessuto tumorale e consegnare i farmaci al suo interno o distruggere direttamente le cellule cancerose. Ma questa versione cyborg, rispetto all’originale, è ancora più resistente all’ambiente ostile del tumore.
Gli scienziati hanno trasferito nei batteri il gene della proteina invasina, che permette loro di invadere le cellule di mammifero, e una sonda fluorescente per visualizzarli facilmente al microscopio. Hanno quindi co-incubato i batteri cyborg armati con l’invasina con due linee di cellule tumorali di neuroblastoma (SH-SY5Y) e di adenocarcinoma (HeLa) in un incubatore per cellule (37°C, 5% CO2) per 4 ore. L’invasione del tessuto tumorale è stata osservata al microscopio. Queste nuove cellule bioniche potrebbero essere usate in futuro anche come trattamenti antibatterici, biosensori e modulatori del microbiota intestinale. I ricercatori la ritengono una “nuova piattaforma per sviluppare applicazioni biotecnologiche”.