La pentola del Ramen racchiude in sé tutto l’universo. C’è la vita che viene dal mare, dalle montagne, la vita di tutte le creature terrestri.
Tutte convivono in perfetta armonia. L’armonia è essenziale.
E quello che le tiene insieme è il brodo. È il brodo che dà vita al Ramen.

Ogni ciotola di Ramen che prepari è un dono per il tuo cliente. Il cibo che tu servi ai tuoi ospiti diventa parte di loro. C’è dentro la tua anima. Ecco perché deve essere l’espressione di un amore puro. Un dono che viene dal tuo cuore.
Non devi cucinare usando troppo la testa, la testa è piena di rumore.
Devi imparare a cucinare usando il posto più tranquillo, nel profondo, dentro di te.

C’è qualcosa in questo modo tutto giapponese di aspirare a preparare la zuppa perfetta ed io lo trovo bellissimo… E così, per ogni ciotola che prepari, cerchi di avvicinarti sempre più alla perfezione: non è meraviglioso?
Ed è così che mi immagino Micaela Giambanco quando, all’età di diciannove anni, si è trasferita a Kurume (piccola città di Kyushu, a Sud del Giappone) e come Abby, la protagonista del film di Robert Allan Ackerman, ha imparato che nel cibo che cucini (e in tutto quello che fai nella vita) ci devi mettere tamashii (l’anima).
Per fare il Ramen secondo la tradizione giapponese, mi rivela Micaela, impiego quattro ore.

Izakaya Mikachan
Mikachan (il locale di Micaela) nasce a dicembre 2018 con l’obiettivo di essere un’autentica izakaya (un’osteria giapponese): un luogo dove i giapponesi si ritrovano dopo il lavoro e gli amici si incontrano per bere e rilassarsi, accompagnando la serata con del cibo, senza alcuna fretta.
12/18 posti a sedere, prenotazioni a sei mesi e una sola filosofia, quella del rispetto.

Non solo il Ramen (nove tipologie in tutto), in questo angolo di Giappone a Roma, richiede il giusto tempo per la sua preparazione. Ogni piatto del menù viene cucinato al momento, nel modo tradizionale.
Stufati in brodo (Nimono), marinature acetate (Sunomono), grigliati (Yakimono) e fritti (Agemono), Takoyaki alla piastra, pasta in brodo tsuyu (Soba/Udon) o zuppe di miso (Misoshiru), fino agli Shabu-shabu e Sukiyaki. Passando poi alla carta degli Otsumami e dei Donburi, piatti completi in ciotole a base di riso bianco.
In questo locale leggere il menu, ordinare e attendere, sono tutti momenti essenziali nel rito del mangiare.

I Takoyaki sono un déjà vu goloso verso l’ordinata confusione di un tipico mercato giapponese.
Uno street food, di fatto, che a metà tra una polpetta e una frittella vedono la pastella (a base di brodo dashi) avvolgere un polpo tenero. Serviti con la tipica salsa takoyaki, alghe in polvere, maionese giapponese e katsuobushi (fiocchi di tonnetto striato essiccato). Quest’ultimi, oltre a dare un divertente senso estetico di movimento al piatto, esaltano la sapidità complessiva.

Un elegante Unaju: un’anguilla laccata, dolce, saporita e cremosa, alghe nori ed erba cipollina, adagiata su un letto di riso (con una leggera salsa unagi). La laccatura risulta lucente e le sfumature che vanno a imbrunire le carni saporite, sembrano una pelle piastrata. Il risultato è piacevolmente appagante, apprezzabile la consistenza delle carni che avvalora la muscolatura ben definita del gusto, mai invadente la spennellatura.

Questi sono solo alcuni esempi dei piatti che potrai assaporare, appena creati dalle mani di Micaela (classe 1972), gli altri li puoi scoprire qui.
Nel 2018 Mikachan si è classificata tra i primi venti nella World Sushi Cup, raggiungendo l’inarrivabile risultato di essere tra le tre donne (l’unica italiana) più brave nel mondo.

Negli anni novanta, e per quasi due anni, Micaela ha vissuto in Giappone studiando e appassionandosi alla disciplina gastronomica. All’epoca frequentava un collegio femminile e, con costanza e pazienza, è arrivata ad affiancare il suo primo maestro in un sushi bar di Tokyo.
Il ristorante, creato insieme al marito Paolo Campesi, è molto riservato, con l’ingresso alle spalle di un piccolo edificio dalla base commerciale situato in una via dell’Infernetto, vicino al mare della Capitale.
Vale decisamente la pena aspettare sei mesi per riuscire a varcare quella soglia, colorata dalle luci delle lanterne.
Micaela e Paolo ti sapranno accogliere al meglio, per farti sentire come a casa.
Gesti, ingredienti, profumi, nomi, racconti e rituali che hanno una sacralità fondamentale: un tappeto volante che ti porterà, per magia, in Giappone.