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Venezia81: “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini

Un film coinvolgente, intenso, reale.
Da sembrare di vivere insieme ai protagonisti le loro vicissitudini, come un’ombra, accanto a loro.

È anche essenziale, nella rappresentazione delle scene, che infatti si compongono esclusivamente di quello che la regista ci vuole comunicare.

Per esempio nella villa dove abitano Francesca Comencini e suo padre, non appariranno mai altre persone, se non loro due; nelle stanze saranno presenti solo oggetti e arredamento che occorrono alla rappresentazione della scena.

Nello studio del padre invece appaiono pareti coperte di libri, questa sigaretta sempre accesa, la stanza della figlia composta solo da un letto, praticamente; ma tutto ha un senso, perché lo spettatore è così inconsciamente concentrato sui messaggi e sulle parole precise che alla Comencini sicuramente preme molto che arrivino… E infatti spiccano!

Tutta questa attenzione ai minimi dettagli che compongono un racconto autobiografico del rapporto tra lei e il padre, fin dall’infanzia di lei, dove tu spettatore, non esiti un attimo a comprendere la situazione, addirittura riesci a sentire così tanto le emozioni che vivono da sentirne quasi i respiri, i battiti del cuore, senti la lacrima che scende sul suo viso.

Un rapporto molto intenso,  un padre che ama profondamente sua figlia, di un amore a tratti più dolce a tratti più duro, ma terribilmente autentico, ricco di desiderio di passarle i valori della vita e del suo lavoro di cui è tanto innamorato, il cinema.

Il padre che poteva sembrare severo e incomprensivo a tratti, invece, non la abbandona mai, riesce a salvarla da un momento complicato della sua vita, dimostrandole così il suo pieno amore, e dopo aver superato insieme le difficoltà si troveranno uniti girando un film insieme, dove lei riconosce tutto l’affetto che le ha dato e insegnato per la vita e il lavoro, il suo grande amore per il cinema, che ha salvato lui medesimo da altre difficoltà.


Per me un capolavoro.
Vorrei avere avuto un padre così anch’io!

Un padre e una figlia. Il cinema e la vita. L’infanzia che sembra perfetta e poi diventare grandi sbagliando tutto. Cadere e rialzarsi, ricominciare, invecchiare, diventare fragili, lasciarsi andare ma non perdersi mai. Il tempo che ci vuole per salvarsi.

Francesca Comencini: «Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre emersi dai ricordi e rimasti vividi e intatti nella mia mente. Un racconto personale che credo però trovi la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo. Intorno gli anni delle stragi, delle rivoluzioni sociali, della comparsa delle droghe, che stravolsero la vita di una intera generazione».

Interpretato da Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano, “Il tempo che ci vuole” viene presentato alla 81esima Mostra di Arte Cinematografica di Venezia in Selezione Ufficiale, Fuori Concorso. Il film è una produzione Kavac Film con Rai Cinema, Les Films du Worso, IBC Movie e One Art, prodotto da Simone Gattoni, Marco Bellocchio, Beppe Caschetto, Bruno Benetti, con il sostegno del Mic e con il contributo della Lazio Film Commission.

La pellicola uscirà in sala il 26 settembre con 01 Distribution.

Isabella Chantre
Isabella Chantre ha conseguito studi artistici, con particolare passione per i tessuti. Madre di tre figli (ormai più che ventenni) che ama follemente e ai quali si è totalmente dedicata per scelta, a loro si aggiungono anche due cani di cui non può fare a meno. Amante della natura, sogna un giorno di avere la sua piccola casa in campagna con un incantevole giardino e tanti animali. Nata senza l'avambraccio sinistro, solo 2 anni fa si rende conto di rientrare nella categoria "diversamente abili". Decide allora di rimettersi completamente in gioco: non vuole più nascondere la sua mano "finta"! Come invece, si rende conto, l'hanno sempre costretta a fare perché fonte di grande vergogna per la famiglia di origine che scopre essere anche completamente disorientata di fronte alla sua decisione di mostrarsi per come è. Inizia così un nuovo percorso, di dolore, ma soprattutto di conquista e non torna più indietro sui propri passi. Contemporaneamente si presenta l'occasione di fare da tester per una mano robotica, Hannes, dell'IIT di Genova, che si rivelerà la chiave di violino del suo cambiamento. Ne nasce anche un desiderio profondo di cercare di aiutare altre persone con il suo disagio e così diffonde su Instagram reel nei quali mostra, orgogliosa e con il sorriso, la sua mano robotica, sperando che possa essere di incoraggiamento. Il suo grande sogno è che tutte e tutti si accettino, fiere e fieri di é, e che vengano accettate e accettati per quello che sono... E che quindi tutto, anche indossare una protesi, diventi NORMALITÀ. NORMALITÀ come il titolo di un tema che le ha dedicato sua figlia. Non smetterà mai di sperare che tutti gli occhi di chi ti guarda possano un giorno sorriderti, anziché farti sentire diversa o diverso.

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