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SLA: la speranza di un nuovo farmaco per rallentare la malattia

Sono stati annunciati, a Giugno, al congresso annuale ENCALS (European Network to Cure ALS), e pubblicati qualche giorno fa sulle pagine del New England Journal of Medicine, i risultati dello studio di fase III sul farmaco Tofersen, che accendono una speranza per i malati di SLA con una particolare mutazione genetica.

Il Tofersen è una molecola antisenso, una categoria di farmaci altamente innovativi in grado di spegnere l’espressione dei geni che causano la malattia.

I geni associati alla SLA sono più di uno, ma una frazione dei pazienti (circa il 2-3%) possiede una mutazione nel gene che codifica la proteina superossido dismutasi di tipo I (SOD1).

A questi è destinato il farmaco Tofersen, che riduce la concentrazione della proteina senza compromettere la sua funzione fisiologica, e dopo 12 mesi rallenta e addirittura riesce a fermare o invertire la progressione della malattia.

Allo studio clinico di fase III ha partecipato anche l’ospedale Molinette di Torino, unico centro in Italia.

SLA, una malattia senza cura

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), anche conosciuta come malattia di Lou Gehrig, è una malattia neurodegenerativa progressiva determinata dalla perdita dei motoneuroni, le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari. La progressione della SLA conduce quindi alla paralisi dei muscoli volontari, e col tempo anche di quelli respiratori.

Non esiste una cura farmacologica in grado di arrestare la malattia, ma le scoperte scientifiche e tecnologiche degli ultimi anni hanno migliorato l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti, ritardando la manifestazione dei sintomi.

Tra i farmaci in uso contro la SLA il riluzolo, l’unico approvato in Italia, permette di ritardare l’uso della ventilazione assistita, l’edavarone agisce rimuovendo i radicali liberi e rallenta moderatamente la degenerazione motoria.

Una nuova terapia “antisenso”

Ma diverse terapie sperimentali potrebbero essere in dirittura di arrivo, incluso Tofersen, alla cui sperimentazione di fase III ha partecipato anche l’ospedale Molinette nella Città della Salute di Torino.

Le cause della SLA sono ancora sconosciute: solo il 10-15% è ereditaria, ma la genetica come fattore predisponente potrebbe avere un ruolo determinante anche nelle forme sporadiche. Le ricerche hanno già dimostrato il ruolo di diversi geni, come C9orf72, FUS, TARDBP e SOD1. È quest’ultimo il bersaglio del farmaco Tofersen: codifica per una proteina, la superossido dismutasi di tipo 1, che ha una azione antiossidante e protegge l’organismo dai danni causati dai radicali liberi. Il 2% dei malati di SLA possiede una mutazione in questo e ha una aspettativa di vita variabile da 1 a 20 anni.

Tofersen appartiene a una classe di farmaci cosiddetti “oligonucleotidi antisenso”: sono formati da una molecola che si lega all’RNA messaggero (mRNA) del gene che si vuole “spegnere” e lo degrada.

Il risultato è una riduzione della proteina SOD1 mutata, sotto una soglia per cui il gene non è più tossico ma riesce a espletare le sue funzioni fisiologiche.

Lo studio clinico VALOR

L’azienda farmaceutica Biogen, produttrice del farmaco, ha pubblicato su New England Journal of Medicine i risultati a 12 mesi dello studio clinico di fase III VALOR, in cui sono state valutate la sicurezza e l’efficacia di Tofersen. Su 108 persone arruolate, 72 sono state trattate con Tofersen e 36 con un placebo. Più della metà dei pazienti (39 su 72 nel gruppo trattato e 21 su 36 nel gruppo di controllo) erano affetti da una variante della malattia cosiddetta rapida, più aggressiva. Il centro di Torino, in Italia, ha contribuito con il maggior numero di pazienti a progressione rapida. 

Dopo un anno e mezzo di trattamento, è stato osservato un rallentamento nella progressione clinica della malattia e in qualche caso anche un miglioramento dei sintomi, della forza e della qualità di vita dei pazienti.

L’efficacia del farmaco è stata misurata anche come riduzione della proteina SOD1 e dei neurofilamenti, proteine rilasciate dai neuroni danneggiati. L’effetto, che si verifica già nel primo anno di trattamento, sembra anche destinato a persistere nel tempo, con i pazienti che inizialmente si stabilizzano e poi iniziano a migliorare.

Terapie avanzate per la SLA

Il trattamento, se pur promettente, è destinato solo a una frazione dei pazienti con la SLA, quelli che hanno la mutazione nel gene SOD1, che sono circa il 2-3% del totale (in Italia 120-150 persone).

Siamo ancora lontani da una cura per tutti i malati SLA, ma la ricerca prosegue ed è sempre più orientata alle terapie avanzate, dall’intelligenza artificiale alle cellule staminali, dalla terapia genica alle nanotecnologie.

Sono circa 121 i trial clinici attivi per la SLA, alcuni in fase II/III, come Tofersen. Ancora agli stadi iniziali, invece, è la ricerca sulla terapia con staminali. Finora i risultati positivi sui pazienti sono stati solo transitori, ma l’ipotesi di iniettare cellule staminali riprogrammate in laboratorio per sostituire i motoneuroni persi suscita grande interesse nella comunità scientifica.

In un trial preliminare condotto all’ospedale di Cedars-Sinai di Los Angeles, i ricercatori hanno trapiantato in 18 pazienti affetti da SLA cellule staminali ingegnerizzate per produrre una proteina, il GDFN (dall’inglese glial cell line-derived neurotrophic factor), che nutre e supporta i neuroni.

Le cellule staminali, in questo caso, non sostuiscono direttamente i motoneuroni danneggiati, ma le cosiddette “cellule gliali”, che nei pazienti affetti da SLA perdono le loro naturali funzioni di sostegno e nutrimento dei neuroni. 

La ricerca contro la SLA, insomma, sta percorrendo nuove strade, che incrociano sempre di più le terapie avanzate, come i farmaci antisenso, le cellule staminali e la terapia genica. Tofersen è stato il primo farmaco efficace in fase III a colpire una causa genetica della SLA: la speranza è che le innovazioni nel panorama biomedico e lo studio dei fattori genetici che predispongono alla malattia porteranno presto a una terapia specifica.

Erika Salvatori
Erika Salvatori è una ricercatrice in immunoncologia e una science writer freelance. Con una laurea in Biotecnologie e un Master in Giornalismo Scientifico, è riuscita a coniugare le sue due più grandi passioni: la scienza e la scrittura. La sua attività di ricercatrice la porta a toccare con mano lo sconfinato mondo delle terapie biotecnologiche avanzate e della medicina personalizzata. La giornalista che è in lei non vede l'ora di raccontare quello che impara ogni giorno sul futuro della scienza e della medicina.

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