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Il “distanziamento sociale” nella foresta tropicale: una strategia che favorisce la biodiversità?

Le foreste tropicali ancora dopo anni di studio continuano a essere un mistero sotto alcuni punti di vista. Uno degli aspetti più sorprendenti è l’alto tasso di biodiversità che vi si può trovare, sia per quanto riguarda la flora che la fauna.

Un singolo ettaro di foresta può contenere centinaia di specie diverse di alberi, molte di più che in una comune foresta di conifere delle zone temperate.

Qualsiasi biologo sa che per mantenere un tale affollamento di specie è necessario che sussista un equilibrio particolare e complesso.

Col tempo ci siamo resi conto che l’evoluzione non favorisce situazioni squilibrate a favore della crescita di una sola specie, quanto quelle in cui una specie si trova circondata da membri delle altre. Far conciliare questi fatti con ciò che è noto su come le specie si distribuiscono, competono e si influenzano a vicenda è una sfida non indifferente.

Per studiare questa straordinaria diversità, anni fa gli scienziati iniziarono a creare appezzamenti di foresta dove poter registrare e monitorare la posizione e le condizioni di ogni singolo albero nel corso di decenni.

Uno dei primi appezzamenti di questo tipo, sull’isola Barro Colorado (BCI) a Panama, è largo 500 metri e lungo 1.000 metri (come circa 70 campi da calcio) e contiene più di 300 specie. Dal 1980, i ricercatori di tutto il mondo hanno analizzato attentamente la vita dei suoi “abitanti”.

An aerial photography of a colorful forest and a forest covered in the snow under sunlight

In un articolo recentemente pubblicato su Science, i ricercatori dell’Università del Texas, ad Austin, hanno modellato diversi scenari di distribuzione e li hanno confrontati con i dati BCI. Hanno scoperto che i modelli di dispersione dei semi trasportati dal vento o da parte degli uccelli e di altri animali, nonché processi più casuali, non erano sufficienti a spiegare la distribuzione degli alberi adulti nella foresta. Infatti, gli alberi della stessa specie risultano lontani fra loro e vicini ad altre specie.

Hanno quindi ipotizzato che esista una sorta di “repulsione specie-specifica“, una teoria di lunga data secondo cui gli alberi della stessa specie vengono naturalmente distanziati perché l’ambiente immediatamente attorno a un albero genitore è specificamente ostile alla sua prole.

L’effetto di tale fenomeno non è immediatamente visibile a occhio nudo nella distribuzione degli alberi (per esempio utilizzando foto aeree), ma i modelli suggeriscono che contribuisca in modo sostanziale alla vita della foresta.

Questa idea di repulsione – formalmente nota come dipendenza dalla densità negativa conspecifica, o CNDD – risale agli anni ’70, quando Daniel Janzen e Joseph Connell suggerirono indipendentemente che insetti, erbivori e agenti patogeni che predano selettivamente una specie potrebbero rendere l’area attorno ad un singolo albero sfavorevole alla crescita dei suoi semi. Ad altre specie non verrebbe impedito in modo altrettanto efficace di crescere nell’area, anche se sarebbero comunque limitate da problemi non specifici come la mancanza di luce solare sotto la chioma di un albero adulto. Il risultato sarebbe che gli alberi adulti di una specie tenderebbero a mantenere una sorta di “distanza sociale” minima gli uni dagli altri, per evitare di sfavorire i propri figli.

I test condotti negli ultimi decenni, principalmente sulle piantine, forniscono supporto a questa teoria. I semi spesso non crescono così bene nel terreno prelevato da punti vicino ai loro alberi genitori, tanto come fanno nel terreno da punti vicino ad alberi non imparentati.

Eppure, anche uno sguardo superficiale ai dati BCI mostra che gli alberi adulti di quella foresta non sembrano respingersi così tanto, ma tendono a raggrupparsi in gruppi sparsi della stessa specie.

Gli scienziati hanno così deciso di impostare nuovi modelli che prendessero in considerazione diversi scenari per spiegare la distribuzione degli alberi osservati.

Esiste forse un fenomeno opposto che mitiga il contributo del distanziamento sociale nella foresta?

Il caso non poteva essere l’unica risposta a questa domanda, quindi i ricercatori hanno introdotto nei loro modelli anche l’effetto della dispersione dei semi, che potrebbe essere dovuta al vento, agli uccelli ed in generale a tutti gli agenti esterni che le piante usano per riprodursi. Hanno così stimato la distanza che un seme può percorrere dalla sua fonte all’interno del terreno di 50 ettari, utilizzando reti che catturano i semi mentre vanno alla deriva sul suolo della foresta.

Ma quel modello produceva alberi troppo fitti tra loro. Qualcosa sembrava agire sulla distribuzione prodotta dalla limitazione della dispersione, “diluendo” gli alberi sul territorio. Quindi la teoria del CNDD ha un fondamento.

Quando i ricercatori hanno calcolato quanto fosse specifica la repulsione, ovvero quanto fosse svantaggioso per un albero trovarsi vicino alla propria specie piuttosto che a un’altra, hanno scoperto che avrebbe dovuto essere abbastanza forte per produrre lo schema osservato, in maniera specie specifica.

Tuttavia, i modelli potrebbero sottostimare fino a che punto i meccanismi di dispersione possono diffondere i semi. Se gli eventi di vasta diffusione sono rari, ad esempio, potrebbero essere difficili da rilevare nei dati derivati dalla raccolta dei semi nelle reti e potrebbero spiegare i gruppi di alberi più estesi nelle foreste, senza bisogno di repulsione.

L’importanza degli eventi rari non è da sottovalutare, perché possono completamente cambiare il destino di una specie e di interi ecosistemi, sebbene siano altamente improbabili.

Si pensi alla distribuzione dei semi da parte degli uccelli: non sempre li trasportano alla stessa distanza, qualche volta sono uccelli di passaggio, che li riportano alla loro nicchia. Ciò rende i dati terribilmente incompleti e intricati.

Di fatto, i modelli elaborati a tutt’oggi non sono sufficienti né definitivi per avere un quadro completo ed esaustivo della situazione, che prenda in esame tutti i fattori coinvolti nella biodiversità vegetale delle foreste tropicali.

Quello che ci si propone di fare è di iniziare ad analizzare con le nuove tecniche di rilevamento aree molto più estese, oltre i 50 ettari, per scoprire nuovi punti di vista sul ruolo della dispersione dei semi da una parte e della teoria della CNDD dall’altra.

Gli scienziati sono però indirizzati a pensare che la chiave della diversità delle specie potrebbe risiedere nelle loro somiglianze e nel contributo al rimescolamento dovuto ai fiumi della zona.

Intendono eseguire analisi simili su altri appezzamenti di foresta in tutto il mondo per vedere quali modelli emergono. Ad oggi ci sono più di 70 siti di 50 ettari di dimensione, tutti monitorati come il terreno della BCI.

Eseguendo simulazioni in cui regolano la portata del CNDD, hanno scoperto che anche la repulsione su distanze relativamente brevi può provocare grandi effetti su scala della foresta. Se si immagina la foresta come un gruppo di persone dove ognuno respinge i suoi vicini e lo si estende su gruppi più estesi, si può notare come modelli su larga scala possano emergere da azioni su piccola scala.

Noi nel frattempo attendiamo risposte e ci incantiamo ancora una volta ad osservare la complessità e la perfezione del mondo botanico, ancora molto lontano dall’essere completamente svelato.

Fonte: Michael Kalyuzhny et al.,Pervasive within-species spatial repulsion among adult tropical trees, Science381,563-568(2023). DOI: 10.1126/science.adg702

Alice Mosconi
Conservation Scientist e Paleoantropologa molecolare, da Firenze vola a Berlino per l’Erasmus. Qui lascia i banconi e i camici di laboratorio per seguire la sua grande passione: la divulgazione scientifica. Muove i primi passi in questo campo con il lockdown 2020, dedicando la sua pagina Instagram a post e storie esplicativi su evoluzione e materiali per le opere d’arte, poi inizia a collaborare con associazioni e riviste scientifiche, convinta che la conoscenza è utile solo se condivisa.

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