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Dal CNR un modello matematico per prevedere l’uscita dal coma

modello di anatomia umana

L’intervista al Dott. Antonio Cerasa, neuroscienziato e divulgatore

Capire come evolvono i danni cerebrali delle persone in coma, per predire gli esiti clinici dei pazienti. È possibile grazie a un innovativo modello matematico sviluppato in sinergia tra gli Istituti Irib e Iasi del CNR, e condotto in collaborazione con l’Istituto S. Anna di Crotone e altri centri clinici nazionali.

La capacità di modellizzare e prevedere le “traiettorie” degli esiti clinici per ogni singolo paziente, in coma a causa di gravi cerebrolesioni acquisite, è molto importante affinché i medici possano decidere il miglior percorso terapeutico e riabilitativo.

Per capire meglio come funziona questo modello matematico e come si è svolto lo studio, ne abbiamo parlato con il Dott. Antonio Cerasa, autore della ricerca e neuroscienziato dell’Irib CNR di Messina. 

Lo studio che avete pubblicato mostra come le applicazioni della matematica siano variegate e si trovino davvero in ogni campo della ricerca, come le neuroscienze e la medicina, in questo caso…

Pur non essendo un matematico e avendo avuto il grande supporto per lo sviluppo del modello dai miei colleghi, posso dire che i modelli matematici hanno proprio la bellezza di sapersi adattare, come uno spartito si adatta a una determinata voce, alla necessità di spiegare la natura in tutte le sue forme.

«Ed è proprio da questa capacità di adattamento che siamo partiti, perché il modello matematico che abbiamo usato è un modello che già si utilizza per valutare la diffusione enzimatica all’interno delle cellule.

Visto che per il nostro studio avevamo l’obiettivo di valutare le “traiettorie” assunte da determinati eventi biologici, i colleghi matematici hanno pensato di applicarlo ai dati clinici delle persone in coma in seguito danno cerebrale.

Abbiamo, quindi, applicato questo modello per la prima volta al mondo a questo tipo di pazienti, con risultati ottimali.»

In parole povere, come si è svolto lo studio?

«Questo studio si basa su un precedente studio multicentrico condotto dall’Istituto S. Anna di Crotone, insieme ai più importanti centri di neuroriabilitazione in Italia, per la raccolta di dati da pazienti con danno cerebrale, traumatico o vascolare.

I medici che si occupano del recupero di questi pazienti sanno bene quale sarà il decorso della malattia, quindi non hanno bisogno che un algoritmo di intelligenza artificiale predica quali saranno gli esiti.

Quello di cui hanno bisogno, invece, perché il medico non può predirlo, è come e quando il paziente avrà un miglioramento. Ed è proprio questa la domanda a cui, da neuroscienziati, abbiamo cercato di rispondere.

Noi entriamo in gioco quando il clinico ha bisogno di un nuovo metodo per rispondere a delle domande e il neuroscienziato prova a traslare da altre discipline un metodo che possa dare delle risposte.»

Cosa aggiunge la vostra ricerca ai parametri clinici internazionali ad oggi utilizzati per predire la probabilità di recupero della coscienza dei pazienti in coma?

«La grande novità di questo studio è che non abbiamo una “scatola chiusa”, come quella di una intelligenza artificiale (AI), in cui si inseriscono i dati del paziente e l’AI risponde dicendo quale paziente migliora e quale no. Questo è un approccio che ai clinici non è utile.

Il nostro modello matematico ha la capacità, invece, di fornire la “traiettoria” di ogni singolo paziente, in un percorso di 4-6 mesi. E ci dice anche in quale punto del percorso le traiettorie di un paziente che starà bene e quella di uno che starà male si divideranno.

Ciò accade intorno al giorno 80/90 di ricovero. Da quel momento in poi, i medici sanno che il trattamento difficilmente potrà cambiare gli esiti della malattia. Per il clinico questa è una informazione chiave perché è proprio nei primi tre mesi che si gioca la partita del paziente per un possibile recupero.

Oggi stiamo lavorando con oltre 16 centri in Italia, con cui potremo arrivare a definire ancora meglio queste traiettorie, e molto più velocemente, permettendo al clinico di sapere dove e come intervenire nel percorso di cura del paziente.»

Infatti, questo studio è proprio a carattere multicentrico, quindi si è svolto grazie alla collaborazione di tanti centri differenti, con competenze diverse. Quanto è importante la collaborazione multidisciplinare nella ricerca scientifica?

«La collaborazione multidisciplinare è l’unica via percorribile, poiché il futuro della ricerca sta proprio nella raccolta e disponibilità di tanti dati ed è l’unico modo per poter curare al meglio le malattie, anche quelle che dovremo affrontare in futuro.»

Quali saranno gli sviluppi e le applicazioni future del vostro studio?

«Il nostro modello, come tutti i modelli matematici, ha appunto bisogno di tanti dati per funzionare al meglio.

In futuro andremo ad indagare come cambiano le traiettorie degli esiti dei pazienti anche a seconda del trattamento che ricevono. Quindi, immaginiamo che i medici potranno inserire i dati dei loro pazienti su un tablet, insieme ai cambiamenti nei trattamenti, e immediatamente visualizzare come la curva degli esiti del paziente cambia.

Inoltre, la traiettoria cambierà anche in funzione dell’esperienza clinica del medico nel singolo centro e in base agli studi di letteratura, fornendo all’istante un’informazione derivata da milioni di dati

In questo modo, i medici del futuro, riusciranno a prendere scelte cliniche meglio di un’intelligenza artificiale.

Il Dott. Antonio Cerasa è anche autore di diversi saggi, tra cui “Expert Brain”, “La scatola magica” e “Diversamente folli”. Qual è, secondo lei, il ruolo della divulgazione scientifica oggi?

«È un ruolo davvero importante! Infatti, al momento ho un altro progetto divulgativo in atto, insieme al giornalista scientifico Marco Ferrazzoli e al giornalista Marco Dedola. Si tratta di una trasmissione realizzata per Rai News 24 (Scienziati, ogni mercoledì alle 19:50 n.d.r, all’interno di Futuro24) , in cui vengono registrati in diretta i parametri vitali e fisiologici dei più importanti divulgatori scientifici italiani, mentre vengono loro poste delle domande.

Lo scopo è quello di misurare la capacità dei divulgatori di gestire la comunicazione con il pubblico e controllare, allo stesso tempo, le proprie emozioni.»

Per la prima volta al mondo, andremo a definire il profilo biologico e fisiologico dei divulgatori scientifici, che sono delle figure chiave della comunicazione. 

Cover Foto di David Matos su Unsplash

Roberta Altobelli
Roberta Altobelli è una science writer e medical writer freelance. La sua curiosità e la voglia di imparare cose nuove sono pari, forse, solo alla sua passione per la scrittura. Per questo, dopo la laurea in Biotecnologie Mediche, ha conseguito un Master in Genetica Forense e un Master in Comunicazione della Scienza. Oggi, il suo laboratorio è composto dalla tastiera di un pc e da una scrivania che, appena può, diventa vista mare.

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