Estate 1975, Abruzzo, l’Arminuta, sinonimo di “ritornata”, è una bambina di tredici anni che viene “restituita” alla sua famiglia d’origine di cui non conosceva l’esistenza. Quella che la protagonista trova è una famiglia sconosciuta composta da un padre silenzioso e violento con i suoi tre fratelli, in particolare con il maggiore Vincenzo, la sorella minore, ma già adulta Adriana e la madre, una donna rude segnata dalla fatica incapace di mostrarle le sue emozioni e sentimenti.
Basato sull’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta, presentato alla sedicesima edizione della selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, è un film tutto al femminile dove il regista Giuseppe Bonito, insieme alla protagonista, riesce a trasportarci dalla vita di città ad una realtà misera e difficile nella quale riusciamo a percepire il dolore dopo l’abbandono.

Quello che ci viene raccontato è un salto nel vuoto come può essere solo l’allontanamento dalla propria famiglia: un evento e un dolore troppo complesso da spiegare, eppure le immagini de L’Arminuta riescono a provocare questo senso di sofferenza dalla prima all’ultima scena.
In questa storia la madre e il padre sono quasi figure impersonali nella confusione della protagonista che si domanda continuamente perché sia stata rimandata indietro come un oggetto difettoso.
Troverà il sostegno in Adriana, con cui condividerà il letto e quell’amore che le manca dalle sue due madri e dai suoi due padri.
L’opera di Bonito è un perfetto equilibrio che riprende il linguaggio diretto e pulito del romanzo e che ci colpisce dritto al cuore non lasciandoci mai indifferenti verso i suoi personaggi.